Ha i capelli di sua madre. Può sembrare buffo ma il titolo dello studio di cui vi sto scrivendo, appena pubblicato su The Astrophysical Journal Letters, inizia proprio così: she’s got her mother’s hair. Lo studio parla di buchi neri e di improbabili getti relativistici. Parla di stelle di neutroni, anzi di proto-stelle di neutroni, la cui vita è brevissima: giusto il tempo di un’esplosione. Ma per capire cosa centri “la madre” dobbiamo fare un passo indietro.
I buchi neri sono tra gli oggetti stellari più enigmatici e affascinanti dell’universo. Sebbene siano noti per la loro capacità di inghiottire tutto ciò che li circonda in un abisso gravitazionale da cui nulla può fuggire, possono anche emettere potenti getti di particelle cariche, provocando esplosioni di raggi gamma in grado di rilasciare in pochi secondi più energia di quanta ne emetta il Sole in tutta la sua vita. Ovviamente i getti non escono dal buco nero in sé, ma da materiale che interagisce con il campo gravitazionale e magnetico intorno al buco nero. L’orizzonte degli eventi resta una barriera invalicabile, ma i fenomeni al di fuori di esso sono incredibilmente energetici e complessi, e possono dare origine a strutture come, appunto, i getti relativistici. Perché si verifichi un evento così spettacolare, un buco nero deve avere un potente campo magnetico. Da dove provenga questo magnetismo, tuttavia, è un mistero di lunga data.
Utilizzando calcoli basati sulla teoria della formazione dei buchi neri, un gruppo internazionale di scienziati – tra cui l’italiano Matteo Cantiello del Flatiron Institute (New York, Usa), esperto della vita e della morte delle stelle, nonché di simulazioni degli interni stellari – guidati dal Flatiron Institute, ha finalmente trovato l’origine di questi campi magnetici: le stelle madri dei buchi neri stessi.
I buchi neri possono formarsi in seguito all’esplosione di una stella molto massiccia come supernova, lasciando dietro di sé un denso nucleo residuo chiamato proto-stella di neutroni, uno stadio iniziale e transitorio nella formazione di una stella di neutroni. «Le proto-stelle di neutroni sono le madri dei buchi neri: quando collassano, nasce un buco nero. Quello che vediamo è che quando questo buco nero si forma, il disco che circonda la proto-stella di neutroni essenzialmente ancora le sue linee magnetiche al buco nero», spiega Ore Gottlieb, primo autore dello studio e ricercatore presso il Centro di astrofisica computazionale (Cca) del Flatiron Institute di New York. «È molto emozionante capire finalmente questa proprietà fondamentale dei buchi neri e come essi alimentino i gamma ray burst, le esplosioni più luminose dell’universo».
Inizialmente gli scienziati si erano proposti di modellare l’evoluzione di una stella dalla nascita al collasso, fino alla formazione del buco nero. Con le loro simulazioni, intendevano studiare i flussi in uscita dal buco nero, come i getti che generano esplosioni di raggi gamma. Tuttavia, hanno incontrato un problema con i modelli. «Non eravamo sicuri di come modellare il comportamento di questi campi magnetici durante il collasso della stella di neutroni verso il buco nero», spiega Gottlieb.
Esistevano alcune teorie sui buchi neri e sul loro magnetismo, ma nessuna sembrava funzionare quando si teneva conto della potenza dei getti e delle esplosioni di raggi gamma. «Ciò che si pensava fosse vero è che anche i campi magnetici delle stelle collassassero, insieme alle stelle stesse, nel buco nero», spiega Gottlieb. «Durante il collasso, queste linee di campo magnetico si rafforzano perché vengono compresse, quindi la densità dei campi magnetici diventa più alta».
Il problema di questa spiegazione è che il forte magnetismo nella stella fa sì che questa perda la sua rotazione. Senza una rapida rotazione, un buco nero appena nato non può formare un disco di accrescimento – il flusso di gas, plasma, polvere e particelle intorno a un buco nero – e non potrebbe quindi produrre i getti e le esplosioni di raggi gamma che abbiamo osservato.
«Sembra che le due cose si escludano a vicenda», dice Gottlieb. «Per la formazione dei getti sono necessarie due cose: un forte campo magnetico e un disco di accrescimento. Ma un campo magnetico acquisito da una tale compressione non formerà un disco di accrescimento, e se si riduce il magnetismo al punto in cui il disco può formarsi, allora non è abbastanza forte da produrre i getti».
Questo significa che dev’esserci qualcos’altro che sta accadendo e gli scienziati hanno cercato di scoprirlo andando direttamente alla fonte: il genitore del buco nero. Si sono così resi conto che forse le simulazioni di stelle di neutroni in collasso non stavano fornendo un quadro completo. «Le simulazioni precedenti hanno preso in considerazione solo stelle di neutroni isolate e buchi neri isolati, dove tutto il magnetismo viene perso durante il collasso. Tuttavia, abbiamo scoperto che queste stelle di neutroni hanno dischi di accrescimento propri, come i buchi neri», spiega Gottlieb. «E così, l’idea è che forse un disco di accrescimento può salvare il campo magnetico della stella di neutroni. In questo modo, si formerà un buco nero con le stesse linee di campo magnetico che hanno attraversato la stella di neutroni».
I calcoli del team hanno mostrato che quando una stella di neutroni collassa, prima che tutto il suo campo magnetico venga inghiottito dal buco nero appena formato, il disco della stella di neutroni viene ereditato dal buco nero e le sue linee di campo magnetico rimangono ancorate. «Abbiamo eseguito calcoli per i valori tipici che ci aspettiamo di vedere in questi sistemi e, nella maggior parte dei casi, i tempi di formazione del disco del buco nero sono più brevi di quelli in cui il buco nero perde il suo magnetismo», spiega Gottlieb. «Quindi il disco permette al buco nero di ereditare un campo magnetico dalla madre, la stella di neutroni».
Gottlieb è entusiasta della nuova scoperta non solo perché risolve un mistero di lunga data, ma anche perché apre le porte a ulteriori studi sui getti. «Questo studio cambia il modo in cui pensiamo a quali tipi di sistemi possono supportare la formazione di getti, perché se sappiamo che i dischi di accrescimento implicano il magnetismo, allora in teoria basta una formazione precoce del disco per alimentare i getti», conclude. «Penso che sarebbe interessante ripensare a tutte le connessioni tra popolazioni stellari e formazione di getti, ora che sappiamo questo».
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal Letters l’articolo “She’s Got Her Mother’s Hair: Unveiling the Origin of Black Hole Magnetic Fields through Stellar to Collapsar Simulations” di Ore Gottlieb, Mathieu Renzo, Brian D. Metzger, Jared A. Goldberg e Matteo Cantiello