MAI SE N’ERA VISTO UNO COSÌ DA VICINO

Incontro ravvicinato con il quasar 3C 273

Un team di astronomi ha utilizzato il telescopio Hubble per osservare a distanza ravvicinata il quasar 3C 273, come mai era stato fatto finora. Diverse strutture sono state identificate in prossimità del buco nero centrale, che potrebbero rappresentare delle piccole galassie satelliti. Lo studio è stato realizzato con lo strumento Stis e ha rivelato nuovi dettagli anche sul getto prodotto dal quasar

     09/12/2024

Quando, una sessantina di anni fa, gli astronomi Allan Sandage e Thomas Matthews si ritrovarono al cospetto della radiosorgente 3C 48, possiamo verosimilmente immaginare che non poco fu lo sconcerto in cui dovettero piombare di fronte alla bizzarria di quell’oggetto. Benché emettesse intensi segnali radio, la sorgente in questione appariva niente meno che come una placida, anonima, stella azzurra. Nel giro di poco tempo, nuovi oggetti iniziarono a distinguersi per tale stravaganza. Diverse radiosorgenti si rivelavano infatti ai telescopi ottici con la parvenza di ordinarie stelle. Tra queste 3C 273, settima sorgente più brillante del Third Cambridge Catalogue of Radio Sources (da cui l’acronimo 3C), un importante catalogo di sorgenti radio pubblicato nel 1959. Ci pensò Maarten Schmidt nel 1963 a sbrogliare quello che appariva un rompicapo inestricabile. Utilizzando il telescopio da 5 metri dell’Osservatorio di Monte Palomar, l’astronomo di origine olandese catturò uno spettro di 3C 273, accorgendosi che le misteriose righe emesse dalla radiosorgente non erano nient’altro che le familiari righe dell’idrogeno, rese irriconoscibili da quello che, per quei tempi, era un notevole spostamento verso il rosso (redshift): 0.158. Mai vista era pure la loro luminosità. Schmidt stimò infatti che, data la distanza di 2,5 miliardi di anni luce, 3C 273 fosse nella banda ottica centinaia di volte intrinsecamente più brillante delle tipiche galassie osservate in precedenza. Ci vollero alcuni anni affinché le prodigiose luminosità dei quasar – da quasi-stellar radio source, a causa della loro parvenza stellare – come 3C 273 venissero interpretate come il prodotto dell’accrescimento di materiale su un buco nero supermassiccio. Da allora, all’incirca un milione di quasar si conoscono nell’universo, dal più vicino, Markarian 231, a quasi seicento milioni di anni luce dalla Terra, a J0313-1806, il quasar più lontano conosciuto, a oltre tredici miliardi di anni luce dal nostro pianeta.

Due immagini del quasar 3c 273 realizzate con Hubble rispettivamente senza (a sinistra) e con il coronografo Stis (a destra). Bloccando la luce prodotta dal luminosissimo quasar, lo strumento consente di studiare diverse strutture prima sconosciute in prossimità del buco nero centrale. Crediti: Nasa, Esa, B. Ren (Université Côte d’Azur/Cnrs), J. Bahcall (Ias), J. DePasquale (StScI)

Eppure, benché siano passati sessantun anni dal disvelamento della sua natura, 3C 273, cuore pulsante di una galassia ellittica gigante nella costellazione della Vergine, non ha smesso di far parlare di sé. È infatti della scorsa settimana la notizia che, utilizzando il telescopio spaziale Hubble, si è riusciti ad acquisire l’immagine più ravvicinata mai ottenuta di un quasar. L’ambiente attorno a 3C 273 si presenta ricco di «cose bizzarre», dice Bin Ren dell’Observatoire de la Côte d’Azur e dell’Université Côte d’Azur di Nizza. «Abbiamo alcuni blob di diverse dimensioni e una misteriosa struttura filamentare a forma di ‘L’. Tutto ciò entro sedicimila anni luce dal buco nero». Sembrerebbe che alcuni di questi oggetti siano delle piccole galassie satelliti che stanno precipitando sul buco nero e che in tal modo andrebbero ad alimentare il luminosissimo quasar.

Che i quasar vengano alimentati da collisioni con altre galassie non è una novità. Questi oggetti erano più abbondanti all’incirca tre miliardi di anni dopo il Big Bang, quando gli scontri tra galassie erano più frequenti. La novità è la scala molto piccola su cui queste interazioni sono state osservate. Gli astronomi si sono serviti dello Space Telescope Imaging Spectrograph (Stis) montato a bordo di Hubble, che può essere utilizzato come un coronografo – ovvero uno strumento che blocca la luce prodotta dal quasar, un po’ come fa la Luna con il nostro Sole durante le eclissi solari –, consentendo agli scienziati di studiare le regioni nei paraggi, che svelano dettagli insospettabili. In passato lo stesso strumento era stato utilizzato per rivelare i dischi protoplanetari attorno alle stelle e adesso ha consentito di scrutare il cuore di 3C 273 a distanza otto volte più ravvicinata di quanto fosse stato fatto in passato. Anche il colossale getto di materia, prodotto dal quasar e che si protende per oltre trecentomila anni luce, è stato investigato con le nuove osservazioni. Confrontando i nuovi dati con quelli ottenuti ventidue anni fa, il gruppo guidato da Ren ha si è accorto che il getto si muove più velocemente nella parte più lontana dal quasar.

Le bizzarrie di 3C 273 dunque non sono relegate agli anni ‘60, ma pure al giorno d’oggi il nucleo scoppiettante della gigantesca ellittica non smette di sorprendere gli astronomi. «Ricostruendo le strutture spaziali nel dettaglio e il moto del getto, Hubble ha colmato una lacuna tra l’interferometria radio su piccola scala e le immagini ottiche su larga scala, e perciò possiamo fare un salto in avanti, verso una più completa comprensione della morfologia della galassia che ospita il quasar. La nostra visione precedente era molto limitata, ma Hubble ci sta consentendo di ricostruire la complessa morfologia del quasar e le interazioni con le altre galassie nel dettaglio. In futuro, osservare ulteriormente 3C 273 nella luce infrarossa col telescopio spaziale James Webb potrebbe fornirci maggiori indizi su questo oggetto», conclude Ren.