Nel 2023 Davide Farnocchia (Jet Propulsion Laboratory), con un paper sull’asteroide main-belt (523599) 2003 RM, e contemporaneamente Darryl Seligman (Cornell University), con un paper su altri sei asteroidi (“Dark Comets? Unexpectedly Large Nongravitational Accelerations on a Sample of Small Asteroids)”, hanno introdotto una nuova categoria di asteroidi attivi: le “comete oscure” (o dark comets). Si tratta di corpi minori che si muovono su orbite simili a quelle degli asteroidi, non mostrano chiome rilevabili (da qui il soprannome di “oscure”), ma sperimentano accelerazioni non-gravitazionali fuori dal piano orbitale che non sono coerenti con effetti radiativi, quindi non possono essere attribuite alla pressione della radiazione solare oppure all’effetto Yarkovsky.
Farnocchia e Seligman hanno dimostrato che un processo di degassamento è coerente sia con le accelerazioni osservate, sia con la mancata osservazione delle chiome: in pratica si tratta di comete con un’attività molto bassa, rilevabile solo attraverso l’orbita che devia da quella calcolata tenendo conto solo della forza di gravità del Sole e delle perturbazioni planetarie. In un certo senso il prototipo delle comete oscure è stato ‘Oumuamua, il primo oggetto interstellare ad essere scoperto, nel 2017. Oltre alle loro accelerazioni non-gravitazionali e all’assenza della chioma, le comete oscure mostrano altre proprietà: sono generalmente piccoli corpi con diametri dell’ordine di 10-100 metri che ruotano rapidamente attorno al proprio asse con periodi di 0,05-2 ore (però i periodi di rotazione sono noti solo per una frazione minoritaria della popolazione) e le accelerazioni sono dirette al di fuori del piano dell’orbita. Secondo uno studio pubblicato l’estate scorsa da un team guidato da Aster Taylor, l’ipotesi più plausibile sull’origine delle comete oscure è che siano il risultato finale di un processo a cascata di frammentazioni rotazionali per effetto dell’outgasing, il che sarebbe coerente con le loro proprietà fisiche note.
Fino a poco tempo fa gli oggetti noti di questa nuovissima categoria di corpi minori erano solo sette: (523599) 2003 RM, 1998 KY26, 2005 VL1, 2016 NJ33, 2010 VL65, 2006 RH120, e 2010 RF12. Finora non sono pervenute al Minor Planet Center segnalazioni di attività cometaria per nessuno di questi piccoli corpi e sono quindi tutti classificati come asteroidi.
In un articolo di Darryl Seligman e colleghi pubblicato questa settimana su Pnas viene ora riportata la scoperta di accelerazioni non-gravitazionali per altri sette oggetti classificati come inattivi, ma che in realtà non rispettano la legge di Newton della gravitazione. In pratica è stata raddoppiata la popolazione delle comete oscure conosciute. Fra queste nuove dark comet ci sono gli asteroidi main-belt (150177) 1998 FR e (208316) 2001 ME. Una ricerca dettagliata sui dati d’archivio delle survey non ha permesso di rilevare alcuna attività d’emissione di polvere in nessuno di questi asteroidi, sia in immagini singole o su somme di immagini, quindi si tratta di dark comet a pieno titolo.
Analizzando la riflettività (che insieme al valore della magnitudine assoluta permette di stimare le dimensioni) e le orbite di tutta la popolazione nota delle dark comet, è stato così scoperto che nel Sistema Solare ci sono due diversi tipi di comete oscure. Il primo tipo, chiamano delle comete oscure esterne, ha caratteristiche simili alle comete della famiglia di Giove: hanno orbite altamente eccentriche e dimensioni pari o superiori alle centinaia di metri. Il secondo gruppo invece, quello delle comete oscure interne, risiede nel Sistema solare interno (che include Mercurio, Venere, Terra e Marte), i membri si muovono su orbite quasi circolari e hanno dimensioni più piccole rispetto al gruppo esterno, con diametri dell’ordine delle decine di metri o meno.
Come tante scoperte astronomiche, le ricerche di Seligman e Farnocchia non solo ampliano la nostra conoscenza sulle comete oscure, ma sollevano anche diverse domande: da dove hanno avuto origine? Cosa causa la loro accelerazione non-gravitazionale? Potrebbero contenere ghiaccio? Questi oggetti potrebbero rappresentare le diverse fasi del ciclo di vita di una popolazione di corpi minori ricca di materiali volatili, non rilevata in precedenza ma potenzialmente numerosa, che miliardi di anni fa potrebbe aver fornito materiale essenziale per lo sviluppo della vita sulla Terra. La vita operativa della sonda Hayabusa2 della Jaxa, reduce dell’invio sulla Terra dei campioni dell’asteroide Ryugu, esplorerà la dark comet 1998 KY26 nel luglio 2031. Si tratta di un asteroide near-Earth su un’orbita di tipo Apollo con un diametro di circa 30 metri e un periodo di rotazione di quasi 11 minuti: che cosa troverà Hayabusa2? Non lo sappiamo, ma il mondo dei corpi minori è sempre ricco di sorprese.
Per saperne di più:
- Leggi su PNAS l’articolo “Two distinct populations of dark comets delineated by orbits and sizes”, Darryl Z. Seligman, Davide Farnocchia, Marco Micheli e Karen J. Meech