Osservavano il sistema planetario intorno alla stella Trappist-1 gli astronomi Artem Burdanov e Julien de Wit quando è venuta loro un’idea. Che nulla aveva a che vedere con i sette pianeti rocciosi scoperti attorno alla debole stella rossa tra il 2016 e il 2017. Per chi non è interessato alle loro caratteristiche, gli asteroidi rappresentano dei fastidiosissimi contaminanti delle immagini astronomiche, specialmente se state osservando dei corpi celesti prossimi al piano dell’eclittica. Noiose macchie che mutano di domicilio nella successione di pose che immortalano una sorgente astronomica di interesse. Artefici di seccanti “persistenze“, ovvero strascichi di segnale spurio nei pixel delle vostre immagini, se siete un astronomo che indaga i flebili segnali prodotti dalle galassie all’inizio dei tempi e avete la sventura che la vostra osservazione sia stata programmata subito dopo quella di un asteroide, o in generale di qualche sorgente brillante. Che lascerà la sua impronta indesiderata sui vostri tanto attesi dati e a voi l’onere non banale di rimuoverla, prima di abbozzare anche la minima considerazione scientifica rispetto alla galassia lontana che con tanto ardore desideravate studiare. Come talvolta capita nella vita e un evento inizialmente funesto può rivelarsi provvidenziale, allo stesso modo, se letti sotto una luce inconsueta, gli elementi indesiderati di un’osservazione astronomica possono rivelarsi portatori di inopinate scoperte.
Questo è più o meno ciò che è accaduto a Burdanov e de Wit quando hanno deciso di sfruttare i dati pensati per cercare le atmosfere degli esopianeti più prossimi a Trappist-1 per indagare i loro inquilini non graditi: gli asteroidi. Centotrentotto ne hanno scoperti, di asteroidi capitati per caso nelle immagini e che mai erano stati catalogati, e che fanno parte della Fascia principale degli asteroidi, quella regione situata tra Marte e Giove che pullula di corpi celesti rocciosi, relitti della formazione del Sistema solare.
La straordinarietà della scoperta, che è valsa la pubblicazione su Nature della ricerca, presentata in un articolo uscito questa settimana, sta nelle piccole dimensioni degli stessi, tutti entro alcune decine di metri. Si tratta di «uno spazio nuovo, finora inesplorato», come affermato da Burdanov, primo autore dello studio, scienziato al Department of Earth, Atmospheric and Planetary Science del Mit, in Massachusetts. Per fare un confronto, l’asteroide che annientò i dinosauri e la maggior parte delle specie viventi 65 milioni di anni fa era grosso una decina di chilometri. Impatti con oggetti come quello sono catastrofici ma piuttosto improbabili, ne capiterebbe uno ogni qualche centinaio di milioni di anni. Gli asteroidi scoperti da Burdanov e collaboratori, invece, collidono col nostro pianeta con frequenza molto maggiore, in quanto possono più facilmente abbandonare la Fascia principale per diventare near-Earth objects (Neos), oggetti che si avvicinano pericolosamente al nostro pianeta. Asteroidi di questo tipo sono quello che rase al suolo milioni di alberi nella regione di Tunguska, in Siberia, nel 1908, o quello, più recente, che squarciò nel 2013 i cieli di Čeljabinsk, sempre in Russia, ferendo quasi millecinquecento persone e danneggiando oltre settemila edifici. Fino ad ora gli asteroidi più piccoli conosciuti avevano dimensioni da circa un chilometro fino a qualche centinaio di metri. «Eravamo in grado di rivelare i Neos fino alle dimensioni di dieci metri quando sono molto vicini alla Terra. Adesso abbiamo un modo per stanarli quando sono molto più lontani, così possiamo tracciarne più accuratamente le orbite, il che è cruciale per la difesa del pianeta», dice Burdanov.
La scoperta è stata realizzata combinando oltre diecimila immagini di Trappist-1 ottenute con il James Webb Space Telescope, che è sensibile alla luce infrarossa. Questa regione dello spettro elettromagnetico è particolarmente favorevole per lo studio degli asteroidi, in quanto essi risultano più brillanti a queste lunghezze d’onda che nella luce visibile. Gli scienziati stanno discutendo anche la possibile origine di questi piccoli corpi celesti. «Pensavamo che avremmo rivelato solo pochi oggetti sconosciuti, ma ne abbiamo trovati molti di più di quelli che ci aspettavamo, soprattutto quelli più piccoli», dice de Wit, secondo autore dello studio. «È la prova che stiamo esplorando una popolazione nuova, nella quale si formano molti più piccoli oggetti attraverso cascate di collisioni, molto efficienti nel disgregare gli asteroidi in pezzi sotto il centinaio di metri.» Dagli scontri di corpi più grandi deriverebbero dunque gli insidiosi frammenti, potenzialmente rischiosi per il nostro pianeta.
Lo scorso anno, sempre grazie a Webb, era stato osservato un asteroide grosso più o meno quanto il Colosseo, dunque più grande rispetto ai protagonisti dello studio, sempre nella Fascia principale. Anche all’epoca l’asteroide venne stanato durante le osservazioni di un altro oggetto. Osservazioni che non erano neppure andate a buon fine a causa di alcuni problemi tecnici, a testimoniare che pure con le osservazioni fallite di Webb si può fare della scienza «se si ha la giusta mentalità e un pizzico di fortuna», come ebbe a dire Thomas Müller, uno degli autori dello studio. Quello dello scorso anno e il lavoro di Burdanov e collaboratori offrono un magnifico esempio degli usi inaspettati del telescopio Webb e, come conclude il primo autore, «di ciò che possiamo fare quando guardiamo i dati in maniera differente. Qualche volta c’è una grossa ricompensa, e questa è una di quelle volte.»
Per saperne di più:
- Leggi su Nature l’articolo “JWST sighting of decameter main-belt asteroids and view on meteorite sources” di A. Y. Burdanov, J. de Wit, M. Brož, T. G. Müller, T. Hoffmann, M. Ferrais, M. Micheli, E. Jehin, D. Parrott, S. N. Hasler, R. P. Binzel, E. Ducrot, L. Kreidberg, M. Gillon, T. P. Greene, W. M. Grundy, T. Kareta, P. Lagage, N. Moskovitz, A. Thirouin, C. A. Thomas e S. Zieba