LA CONFERMA DA JWST, OSSERVANDO LA PICCOLA NUBE DI MAGELLANO

Dischi protoplanetari: una volta duravano di più

Il telescopio spaziale James Webb ha puntato i suoi occhi sul giovane ammasso stellare Ngc 346 dimostrando una controversa scoperta fatta oltre vent’anni fa con Hubble: in passato erano più longevi. «Sospettavamo l'esistenza di dischi protoplanetari con 20-30 milioni di anni d'età e oggi ne abbiamo la conferma», dice Katia Biazzo dell’Inaf dei Roma, coautrice dell'articolo pubblicato oggi su ApJ

     16/12/2024

Quando l’universo era giovane i dischi protoplanetari duravano più a lungo di quanto finora previsto dai modelli. Questa la scoperta pubblicata oggi su The Astrophysical Journal da un team internazionale di scienziati guidato da Guido De Marchi dell’Agenzia spaziale europea. I dati che hanno permesso di raggiungere questo risultato sono stati raccolti dal James Webb Space Telescope (Jwst) e risolvono un enigma lungo più di vent’anni, iniziato con osservazioni raccolte dal telescopio spaziale Hubble.

Rappresentazione artistica di un disco protoplanetario. Crediti: Gemini Observatory/Aura; autrice Lynette Cook

Già nel 2003 Hubble aveva trovato prove del fatto che potessero esistere pianeti in orbita attorno a stelle molto vecchie, così vecchie da possedere solo piccole quantità di elementi pesanti, ritenuti necessari per la formazione dei pianeti. Questo ha aperto il campo alla possibilità di formare pianeti anche quando l’universo era molto giovane. Oltre vent’anni dopo, grazie al telescopio James Webb, i ricercatori hanno potuto osservare in dettaglio Ngc 346, una regione di formazione stellare massiccia nella Piccola Nube di Magellano che contiene una piccola quantità di elementi pesanti, proprio come l’universo da giovane. Non soltanto alcune stelle mostrano la presenza di dischi protoplanetari, ma questi dischi hanno un’età maggiore rispetto a quelli osservati attorno alle stelle giovani della Via Lattea.

Katia Biazzo, ricercatrice all’Inaf di Roma e coautrice dello studio pubblicato su ApJ

Dunque l’intuizione di Hubble è confermata da Jwst, ed è necessario ripensare ai modelli di formazione planetaria, così come a quelli che spiegano le prime fasi evolutive nell’universo giovane.

«Le stelle che si sono formate nell’universo primordiale avevano a disposizione principalmente gli elementi più leggeri della tavola periodica, idrogeno ed elio, e pochi elementi più pesanti. Finora eravamo convinti che con questa composizione i dischi protoplanetari dovessero sopravvivere per un tempo breve, meno di pochi milioni di anni, e che questo non avrebbe permesso ai pianeti di formarsi», dice una delle autrici dello studio, Katia Biazzo dell’Inaf di Roma. «Il dubbio sorto con le prime osservazioni di Hubble ci ha portato a puntare di nuovo sulla Piccola Nube di Magellano con il Jwst, concentrandoci su Ngc 346, un laboratorio perfetto per la formazione di stelle in un ambiente povero di elementi pesanti. Grazie a precedenti osservazioni con Hubble, sospettavamo che lì avremmo trovato stelle di circa 20-30 milioni di anni di età con dischi protoplanetari che le circondavano».

Secondo quanto osservato nella nostra galassia e quanto previsto dai modelli, questi dischi dovrebbero dissiparsi al massimo nell’arco di pochi milioni di anni, ma in assenza di informazioni spettroscopiche non era possibile stabilire con certezza che quelle stelle avessero effettivamente attorno a loro un disco protoplanetario. Ora, grazie alla sensibilità di Jwst, è stato possibile ottenere i primi dati spettroscopici di stelle in formazione simili al Sole e del loro ambiente circostante in una galassia vicina alla Via Lattea. I risultati confermano che queste stelle, nonostante l’ambiente povero di elementi pesanti e un’età “avanzata” di circa 20-30 milioni di anni, hanno effettivamente dei dischi che le circondano. Questo significa che i pianeti hanno più tempo per formarsi attorno a queste stelle rispetto alle regioni di formazione stellare nella nostra galassia.

I ricercatori propongono due meccanismi per l’esistenza e la sopravvivenza di dischi protoplanetari in ambienti poveri di elementi pesanti: da un lato è probabile che alla stella occorra più tempo del previsto per spazzare via il disco con il suo vento, proprio a causa dell’assenza di elementi più pesanti, che renderebbero più efficace il vento stesso; dall’altra è possibile che per formare una stella simile al Sole in un ambiente povero di elementi pesanti occorra una nube di gas più grande, che dunque produrrà un disco di dimensioni maggiori, che avrebbe bisogno di più tempo per essere disperso. È anche possibile che la spiegazione sia una combinazione di entrambi i processi fisici proposti: solo nuovi dati e nuovi risultati potranno aiutarci a distinguere tra questi scenari.

Per saperne di più:

  • Leggi su The Astrophysical Journal l’articolo “Sun-like stars take longer to form when the metallicity is low” di De Marchi G., Giardino G., Biazzo K., Panagia N., Sabbi E., Beck T. L., Robberto M., Zeidler P., Jones O. C., Meixner M., Fahrion K., Habel N., Nally C., Hirschauer A. S., Soderblom D. R., Nayak O., Lenkic L., Rogers C., Brandl B. e Keyes C. D.