È UN BUCO NERO SUPERMASSICCIO E QUIETO AGLI ALBORI DELL’UNIVERSO

Il bell’addormentato nel cosmo

Un buco nero gigantesco, risalente a soli 800 milioni di anni dopo il Big Bang, è stato individuato mentre “dorme” dopo un periodo di crescita vorace. Questa scoperta, che mette in discussione le attuali teorie sull'evoluzione dei buchi neri, apre nuovi interrogativi sull'universo primordiale. Ne parliamo con Rosa Valiante, ricercatrice Inaf e coautrice di uno studio pubblicato oggi su Nature

     18/12/2024

Rosa Valiante, ricercatrice dell’Istituto nazionale di astrofisica a Roma

Un colosso cosmico, a metà strada tra un predatore insaziabile e un gigante dormiente. Così potremmo descrivere il buco nero appena individuato nell’universo primordiale grazie al telescopio spaziale James Webb. Un team internazionale di scienziati guidato dall’Università di Cambridge è riuscito infatti a identificare questo mostro da record: un buco nero supermassiccio con una massa pari a 400 milioni di volte quella del Sole, situato in un’era remota della storia dell’universo, a soli 800 milioni di anni dopo il Big Bang. Una scoperta che sfida i modelli attuali di formazione e crescita di questi oggetti estremi.

Si tratta di un buco nero insolito non solo per le dimensioni, ma anche per il suo stato di dormienza: questo mostro cosmico che ha apparentemente “mangiato troppo”, dopo un periodo di iperattività, ha ridotto drasticamente il suo accrescimento. Questo comportamento, sebbene raro da osservare, potrebbe rivelarsi comune per i buchi neri dell’universo primordiale.

Per sapere di più su questa straordinaria scoperta, pubblicata oggi sulla rivista Nature, abbiamo parlato con Rosa Valiante, ricercatrice dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e coautrice dello studio.

Cosa rende quest’oggetto così speciale rispetto ad altri buchi neri supermassicci?

«Questo buco nero, con una massa pari a 400 milioni di volte quella del Sole, è uno dei primi di questa portata osservati dal James Webb Space Telescope. È unico non solo per le dimensioni, ma anche perché si trova a una distanza straordinaria, in un’epoca dell’universo risalente a soli 800 milioni di anni dopo il Big Bang, nella cosiddetta epoca della reionizzazione. Per dare un’idea, oggi l’universo ha circa 13,8 miliardi di anni. Un’altra peculiarità è che questo buco nero rappresenta il 40 per cento della massa totale della galassia che lo ospita, un valore molto superiore alla media osservata per i buchi neri nell’universo locale (cioè più vicini a noi), che solitamente copre solo lo 0,1 per cento. E ciò che lo rende ancora più insolito è che non sta accrescendo attivamente materia, quindi è “dormiente”».

Come avete fatto a capire che proprio lì ci fosse un buco nero e che fosse “dormiente”?

«Le osservazioni del James Webb sono state fondamentali. In particolare, i ricercatori di Cambridge hanno analizzato una riga spettrale dell’idrogeno chiamata . Questa riga, anziché avere la forma “stretta” tipica delle galassie, risultava più larga, consistente con la presenza di un buco nero. Grazie alle caratteristiche di questa riga, è stato possibile stimare la massa del buco nero e la sua luminosità, che però è risultata essere molto bassa: oltre cento volte inferiore a quella stimata per i buchi neri attivi di massa simile osservati alla stessa epoca. Questo ha confermato che il tasso di accrescimento è estremamente ridotto rispetto alla norma, solo il 2 per cento del tasso limite di Eddington».

Nonostante cresca lentamente, questo buco nero ha una massa – ci diceva – pari al 40 per cento di quella stellare della galassia. Quali implicazioni ha questo rapporto anomalo?

«Un rapporto così elevato suggerisce che il buco nero, nelle sue fasi iniziali, abbia consumato gran parte del gas disponibile per crescere, lasciando “a bocca asciutta” la formazione stellare. Questo fenomeno sembra indicare che il buco nero abbia attraversato dei periodi in cui la sua crescita ha sovrastato l’evoluzione della componente stellare della galassia. Probabilmente la maggior parte delle stelle osservate oggi si è formata solo dopo che il buco nero è entrato in una fase dormiente, cioè quando il suo tasso di accrescimento ha iniziato a diminuire, fino ad arrivare molto al di sotto del limite di Eddington. È un comportamento mai investigato nel dettaglio finora; infatti, i modelli teorici suggerivano una crescita più sincronizzata tra buchi neri e galassie».

Il campo Goods-North, nel quale è stato individuato il buco nero supermassiccio dormiente, osservato con lo strumento Nircam a bordo del telescopio spaziale Webb. Crediti: Nasa, Esa, Csa, B. Robertson (Uc Santa Cruz), B. Johnson (Cfa), S. Tacchella (Cambridge), M. Rieke (University of Arizona), D. Eisenstein (Cfa)

Quindi questa scoperta sembrerebbe contrastare con i modelli attuali, oppure no?

«Una scoperta come questa rappresenta una sfida per i modelli esistenti. Se un fenomeno così non viene previsto, significa che il modello deve essere rivisto. Tuttavia, questa è anche un’opportunità d’oro: ci permette di testare la validità delle nostre descrizioni della fisica e, se necessario, cambiarle. Nel nostro caso, abbiamo trovato una spiegazione grazie a un modello super-Eddington sviluppato da Alessandro Trinca durante il suo dottorato all’Università di Roma “La Sapienza” e messo a punto durante il suo postdoc all’Inaf. Questo modello, che prevede fasi brevi di accrescimento estremamente rapido, al di sopra appunto della soglia limite di Eddington, intervallate da lunghi periodi di dormienza, è riuscito a descrivere le caratteristiche di questo oggetto. Ora stiamo facendo simulazioni numeriche per migliorarlo ulteriormente e per spiegare meglio tutte le caratteristiche di questo buco nero».

Ha citato più volte questo ‘limite di Eddington’, ma cos’è esattamente e perché è così importante?

«Il limite di Eddington definisce la quantità massima di materia che un buco nero può accrescere entro un certo lasso di tempo, in condizioni di equilibrio tra la pressione di radiazione del materiale che si trova attorno al buco nero e la forza di gravità di esso. Stimare il tasso di accrescimento di materia in rapporto al limite di Eddington è importante per studiare e modellare i processi fisici che regolano la crescita del buco nero e il suo eventuale impatto (feedback) sulla galassia che lo ospita. Sia le osservazioni che i modelli teorici suggeriscono che, in condizioni estreme, questa soglia massima può essere superata, almeno per brevi periodi».

Questo buco nero potrebbe rappresentare la punta dell’iceberg di una intera popolazione di buchi neri “dormienti” ancora da osservare in questa epoca lontana? 

«Il James Webb continuerà a cercare oggetti simili. Nuove campagne osservative sono già in programma, questa volta mirate specificamente a individuare buchi neri dormienti. La scoperta di questo oggetto è stata una sorpresa, ma ora ci aspettiamo di trovare un’intera popolazione di oggetti simili, soprattutto nell’universo primordiale. Inoltre, entro il 2030-2031, saranno lanciate missioni spaziali dedicate alle onde gravitazionali. Questo aprirà un nuovo canale di osservazione, complementare a quello delle onde elettromagnetiche. La combinazione dei due metodi ci permetterà di ottenere una visione ancora più completa dei buchi neri e della loro evoluzione. Non sai mai cosa aspettarti insomma, c’è sempre una nuova sorpresa, anche questo è il bello della scienza».


Per saperne di più:

  • Leggi il comunicato stampa dell’Inaf
  • Leggi su Nature l’articolo “A dormant, overmassive black hole in the early Universe” di Ignas Juodžbalis, Roberto Maiolino, William M. Baker, Sandro Tacchella, Jan Scholtz, Francesco D’Eugenio, Raffaella Schneider, Alessandro Trinca, Rosa Valiante, Christa DeCoursey, Mirko Curti, Stefano Carniani, Jacopo Chevallard, Anna de Graaff, Santiago Arribas, Jake S. Bennett, Martin A. Bourne, Andrew J. Bunker, Stephane Charlot, Brian Jiang, Sophie Koudmani, Michele Perna, Brant Robertson, Debora Sijacki, Hannah Ubler, Christina C. Williams, Chris Willott e Joris Witstok