INDIVIDUATI GRAZIE AI DATI DI SPETTROSCOPIA OTTENUTI DA JWST

I tre volti dei transnettuniani visti da Webb

Studiando la composizione molecolare dei ghiacci superficiali di un’ampia popolazione di oggetti transnettuniani osservati con Jwst, un team guidato dall’Università della Florida Centrale è giunto a classificarli in tre gruppi composizionalmente distinti: “Bowl”, “Double-dip” e “Cliff”. Lo studio è pubblicato su Nature Astronomy

     24/12/2024

Gli oggetti transnettuniani (Tno) sono piccoli corpi celesti che orbitano attorno al Sole oltre l’orbita di Nettuno. Considerati dagli astronomi dei pianeti mancati, questi oggetti celesti conservano informazioni cruciali circa il processo di formazione planetaria e i processi molecolari e di migrazione planetaria che hanno plasmato il Sistema solare primordiale. Studiarli equivale dunque a viaggiare indietro nel tempo di miliardi di anni e guardare all’epoca in cui dalla nebulosa solare si sono formati i semi dei pianeti che oggi popolano il Sistema solare.

Su questa classe di oggetti distanti ha recentemente posato lo sguardo il telescopio spaziale James Webb. Grazie alla sua straordinaria vista nel vicino infrarosso, un team di scienziati guidati dall’Università della Florida Centrale (Ufc) ha potuto studiare la composizione molecolare di oltre cinquanta oggetti transnettuniani, riuscendo a raggruppare i corpi celesti in esame in tre tipologie composizionalmente distinte, corrispondenti a diverse composizioni di superficie. Tre gruppi che, secondo i ricercatori, sarebbero stati modellati all’epoca della formazione del Sistema solare.

Sullo sfondo, un’illustrazione artistica che mostra la possibile distribuzione degli oggetti trans-nettuniani nel disco planetesimale della nostra stella. In primo piano, gli spettri di luce rappresentativi di ciascun gruppo composizionale che evidenziano le molecole dominanti sulle loro superfici. Crediti: William D. González Sierra per il Florida Space Institute, University of Central Florida

Nello studio in questione, i cui risultati sono stati pubblicati la settimana scorsa sulla rivista Nature Astronomy, i ricercatori hanno analizzato la composizione molecolare di 54 oggetti transettuniani. L’indagine, condotta nell’ambito del progetto “Discovering the Surface Composition of the trans-Neptunian Objects” (Disco-Tno) utilizzando lo spettrografo Nirspec di Jwst, ha permesso di ottenere gli spettri di riflettanza (curve di luce che rivelano il colore e la composizione di un oggetto) di tutti i corpi celesti in esame. La successiva analisi di questi spettri ha consentito ai ricercatori di rivelare la presenza di ghiacci composizionalmente diversi. L’applicazione di tecniche di clustering ha infine consentito di raggruppare i corpi celesti in tre tipologie distinte.

«Per la prima volta abbiamo identificato le specifiche molecole responsabili della notevole diversità di spettri, colori e albedo osservati negli oggetti transnettuniani», dice Noemí Pinilla-Alonso, ricercatrice all’Università della Florida Centrale e prima autrice dello studio. «Queste molecole, come ghiaccio d’acqua, ghiaccio di anidride carbonica e di metanolo, e composti organici complessi, ci forniscono una connessione diretta tra le caratteristiche spettrali degli oggetti transnettuniani e le loro composizioni chimiche».

Le tre tipologie di Tno individuate dai ricercatori sono i gruppi chiamati Bowl, Double-dip e Cliff: tre termini traducibili in italiano, rispettivamente, come ciotola, doppia immersione e scogliera. Sono stati soprannominati così considerando la forma dello spettro di luce, e secondo gli autori sono stati forgiati all’epoca in cui si formò il Sistema solare dalle linee di ritenzione dei ghiacci: regioni in cui le temperature sono abbastanza fredde da permettere la formazione e la sopravvivenza di specifici ghiacci all’interno del disco protoplanetario di una stella. Queste regioni, spiegano i ricercatori, sono state fondamentali nel determinare il gradiente di temperatura del Sistema solare primordiale e offrono un collegamento diretto tra le condizioni di formazione dei planetesimi e le loro composizioni attuali.

Secondo i risultati della ricerca, gli oggetti transnettuniani di tipo Bowl costituiscono il 25 per cento del campione. Questi corpi celesti sono caratterizzati da spettri che presentano un picco di assorbimento del ghiaccio d’acqua (H2O) a 3 micrometri la cui forma ricorda quello di una ciotola, e da una superficie polverosa. Mostrano inoltre una bassa riflettività, indicando la presenza di materia scura e refrattaria. I Tno Double-dip rappresentano invece il 43 per cento del campione, i loro spettri mostrano due caratteristici picchi di assorbimento (da cui il nome double-dip) che rappresentano le firme di ghiaccio di anidride carbonica (CO2), e segni della presenza di sostanze organiche complesse. I Tno di tipo Cliff, infine, costituiscono il 32 per cento del campione, presentano forti segni della presenza di ghiacci di metanolo e di composti organici complessi, nonché di molecole contenenti azoto, e sono quelli di colore più rosso. Sono così chiamati per via del brusco calo della riflettanza osservato nei loro spettri di luce a partire da 2,7 μm.

Ma che c’entra la composizione dei Tno con la formazione e l’evoluzione del Sistema solare primordiale? Secondo i ricercatori, le tre tipologie di Tno potrebbero rappresentare una fotografia di com’era il Sistema solare primordiale miliardi di anni fa, mostrando caratteristiche che suggeriscono quale fosse la struttura compositiva del disco protoplanetario della nostra stella.

Nello studio i ricercatori hanno inoltre verificato la possibilità che la composizione chimica dei tre gruppi di Tno possa essere collegata alla loro differente posizione nel disco protoplanetario che ha formato il Sistema Solare primordiale. I risultati dello studio suggeriscono che il gruppo di Tno Bowl si sia formato nelle regioni del disco più vicine al Sole, il gruppo Double-dip nelle zone intermedie, mentre il gruppo Cliff nelle regioni più distanti dal Sole.

«Questi risultati rappresentano la prima chiara connessione tra la formazione dei planetesimi nel disco protoplanetario della nostra stella e la loro successiva evoluzione», spiega Rosario Brunetto, astrochimico all’Istituto di astrofisica spaziale dell’Università di Parigi-Saclay e co-autore dello studio. «Proponiamo che i gruppi spettrali individuati siano resti fossili di gruppi di planetesimi ghiacciati di medie dimensioni presenti nel disco protoplanetario della nostra stella. Se così fosse, ciò fornirebbe un’immagine delle linee di ritenzione del ghiaccio nel Sistema solare appena prima della grande migrazione planetaria che lo ha forgiato».

«Ora che disponiamo di informazioni generali sui gruppi compositivi identificati, abbiamo molto altro da esplorare e scoprire», conclude Pinilla-Alonso. «Come comunità, possiamo iniziare a esplorare in dettaglio ciò che ha prodotto i gruppi come li vediamo oggi».

Per saperne di più:

  • Leggi su Nature Astronomy l’articolo “A JWST/DiSCo-TNOs portrait of the primordial Solar System through its trans-Neptunian objects” di Noemí Pinilla-Alonso, Rosario Brunetto, Mário N. De Prá, Bryan J. Holler, Elsa Hénault, Carolina de Souza Feliciano, Vania Lorenzi, Yvonne J. Pendleton, Dale P. Cruikshank, Thomas G. Müller, John A. Stansberry, Joshua P. Emery, Charles A. Schambeau, Javier Licandro, Brittany Harvison, Lucas McClure, Aurélie Guilbert-Lepoutre, Nuno Peixinho, Michele T. Bannister e Ian Wong