NUOVI DATI A 12.8 MICRON SUPPORTANO LA PRESENZA DI UN’ATMOSFERA

Jwst ha studiato Trappist-1 b: ecco le novità

Recenti misurazioni effettuate con Jwst mettono in dubbio ciò che pensavamo di sapere circa la natura dell'esopianeta Trappist-1 b, a soli 40 anni luce da noi. Si pensava fosse un pianeta roccioso senza atmosfera ma ora sembra essere vero il contrario. I risultati dello studio pubblicato su Nature Astronomy dimostrano quanto sia difficile determinare le proprietà degli esopianeti con atmosfere sottili

     02/01/2025

Trappist-1 b è uno dei sette pianeti rocciosi che orbitano attorno alla stella Trappist-1, a soli 40 anni luce di distanza da noi, nella costellazione dell’Aquario. Questo sistema planetario è affascinante e unico perché permette agli astronomi di studiare ben sette pianeti simili alla Terra da una distanza relativamente contenuta, di cui tre si trovano nella cosiddetta zona abitabile. A oggi, dieci programmi di ricerca hanno puntato lo sguardo del James Webb Space Telescope (Jwst) verso questo sistema per un totale di 290 ore di osservazione.

Impressione artistica del pianeta Trappist-1 b poco prima che transiti dietro la stella nana rossa e fredda Trappist-1. Queste stelle sono note per la loro attività, con grandi macchie stellari ed eruzioni. Trappist-1 b potrebbe sperimentare un intenso vulcanismo. Crediti: Thomas Müller (HdA/Mpia)

Lo studio in questione – guidato dalla ricercatrice francese Elsa Ducrot del Commissariat aux Énergies Atomiques (Cea) di Parigi – utilizza le misurazioni della radiazione infrarossa (essenzialmente radiazione termica) del pianeta Trappist-1 b effettuate con lo strumento Miri (Mid-Infrared Imager) del Jwst ed è stato pubblicato sulla rivista Nature Astronomy.

La pubblicazione riporta anche i risultati dello scorso anno, sui quali si basava la precedente conclusione secondo la quale Trappist-1 b fosse un pianeta roccioso privo di atmosfera. «Tuttavia, l’idea di un pianeta roccioso con una superficie fortemente degradata da agenti atmosferici e priva di atmosfera non è coerente con le misurazioni attuali», dice l’astronomo Jeroen Bouwman, del Max Planck Institute for Astronomy (Mpia) di Heidelberg.

Di solito, la superficie dei pianeti viene erosa dalle radiazioni emesse dalla stella e dagli impatti dei meteoriti. Tuttavia, i risultati suggeriscono che la roccia sulla superficie ha al massimo mille anni, un’età significativamente inferiore a quella del pianeta stesso, che si stima risalga a diversi miliardi di anni fa. Ciò potrebbe indicare che la crosta del pianeta è soggetta a drastici cambiamenti, che potrebbero essere riconducibili a un vulcanismo estremo o alla tettonica a placche. Anche se questo scenario è ancora ipotetico, risulta plausibile. Il pianeta è abbastanza grande e il suo interno potrebbe aver conservato il calore residuo della sua formazione, come nel caso della Terra. L’effetto mareale della stella e degli altri pianeti potrebbe deformare Trappist-1 b in modo tale che l’attrito interno risultante generi calore – come accade su Io, la luna di Giove. Inoltre, è ipotizzabile anche un riscaldamento induttivo da parte del campo magnetico della stella vicina.

Ma c’è di più. «I dati consentono anche una soluzione completamente diversa», spiega Thomas Henning, direttore emerito dell’Mpia, uno dei principali progettisti dello strumento Miri. «Contrariamente alle idee precedenti, esistono condizioni in cui il pianeta potrebbe avere un’atmosfera spessa e ricca di anidride carbonica (CO2)». In questo scenario un ruolo chiave è rappresentato dalla foschia dovuta a composti di idrocarburi – lo smog – presente nell’alta atmosfera.

Rappresentazione della luminosità infrarossa emessa da Trappist-1 b a 12,8 e 15 micrometri per diversi scenari superficiali, con e senza atmosfera. I quattro casi indicano quali concordano con i dati attuali e quali no. (a) La roccia nuda e scura produce una luminosità infrarossa superiore a quella osservata. (b) La luminosità infrarossa osservata è ben compatibile con una superficie di roccia magmatica solo leggermente o per nulla esposta agli agenti atmosferici. (c) Anche un’atmosfera di anidride carbonica e un alto velo di foschia potrebbero spiegare i dati osservati, in quanto gran parte della radiazione infrarossa proviene dagli strati atmosferici superiori. (d) Le atmosfere simili alla Terra assorbono parte della radiazione infrarossa generata dalla superficie, il che porterebbe a intensità non osservate in Trappist-1 b. Credit: Elsa Ducrot (Cea) / Mpia

I due programmi osservativi (Jwst 1177 e 1279), che si completano a vicenda, sono stati progettati per misurare la luminosità di Trappist-1 b a diverse lunghezze d’onda nell’intervallo spettrale dell’infrarosso termico (12,8 e 15 micrometri). La prima osservazione (a 15 micrometri) era sensibile all’assorbimento della radiazione infrarossa del pianeta da parte di uno strato di CO2. Ma poiché non era stato misurato alcun oscuramento, i ricercatori avevano concluso che il pianeta fosse privo di atmosfera.

Tuttavia, ora hanno dimostrato che la foschia può invertire la stratificazione della temperatura di un’atmosfera ricca di CO2. In genere, gli strati inferiori (a livello del suolo), sono più caldi di quelli superiori a causa della pressione più elevata. Ma la foschia, assorbendo la luce delle stelle e riscaldandosi, riscalda gli strati atmosferici superiori, sostenendo un effetto serra. Di conseguenza, anche l’anidride carbonica emette radiazioni infrarosse. Su Titano, la luna di Saturno, lo strato di foschia si forma molto probabilmente sotto l’influenza delle radiazioni ultraviolette del Sole e dei gas ricchi di carbonio presenti nell’atmosfera. Un processo simile potrebbe verificarsi su Trappist-1 b a causa della forte emissione di radiazioni ultraviolette della sua stella.

Anche se i dati sembrano adattarsi a questo scenario, gli astronomi lo considerano comunque il meno probabile. Da un lato è più difficile, anche se non impossibile, produrre composti idrocarburici che formano una foschia a partire da un’atmosfera ricca di CO2. L’atmosfera di Titano, invece, è costituita principalmente da metano. D’altra parte, rimane il problema che le stelle nane rosse attive, tra cui Trappist-1, producono radiazioni e venti che possono facilmente erodere le atmosfere dei pianeti vicini nel corso di miliardi di anni.

Trappist-1 b è un chiaro esempio di quanto sia difficile rilevare e determinare le atmosfere dei pianeti rocciosi, anche per Jwst. Rispetto a quelle dei pianeti gassosi, sono sottili e producono solo deboli firme misurabili. Le due osservazioni per studiare Trappist-1 b, che hanno fornito valori di luminosità a due lunghezze d’onda, sono durate quasi 48 ore, un tempo insufficiente per determinare con certezza se il pianeta ha un’atmosfera.

Questa illustrazione mostra l’osservazione di Trappist-1 b durante un transito. Lungo la sua orbita vengono rivelate diverse regioni della sua superficie. Il lato rivolto verso la stella è molto più caldo ed emette luce termica infrarossa. Il segnale complessivo (stella e pianeta) viene catturato appena prima e dopo l’occultazione del pianeta, mentre durante l’evento viene registrata solo la luminosità della stella. Nel pannello inferiore, il grafico mostra le misure di luminosità della stella da sola e in combinazione con il lato giorno del pianeta, sottolineando i cambiamenti di luminosità nel tempo. Crediti: Elsa Ducrot (Cea) / Mpia

Le osservazioni hanno sfruttato la leggera inclinazione del piano orbitale dei pianeti rispetto alla nostra linea di vista su Trappist-1. Questo orientamento fa sì che i sette pianeti passino davanti alla stella e la oscurino leggermente durante ogni orbita. Di conseguenza, è possibile conoscere la natura e l’atmosfera dei pianeti in diversi modi, tra i quali la cosiddetta spettroscopia di transito si è dimostrata un metodo affidabile. Si tratta di misurare l’oscuramento di una stella da parte del suo pianeta, alle varie lunghezza d’onda. Oltre all’occultazione da parte del corpo planetario opaco, da cui gli astronomi determinano le dimensioni del pianeta, i gas atmosferici assorbono la luce stellare a lunghezze d’onda specifiche. Da ciò si può dedurre se un pianeta abbia o meno un’atmosfera e, nel caso, da cosa sia composta. Sfortunatamente, questo metodo presenta degli svantaggi, soprattutto per i sistemi planetari come Trappist-1: le stelle nane rosse e fredde presentano spesso grandi macchie stellari e forti eruzioni, che influenzano in modo significativo la misurazione.

Questo problema può essere aggirato osservando il lato dell’esopianeta riscaldato dalla stella nell’infrarosso. Il lato illuminato è particolarmente facile da vedere appena prima e appena dopo la scomparsa del pianeta dietro la stella. La radiazione infrarossa rilasciata dal pianeta contiene informazioni sulla sua superficie e sulla sua atmosfera. Tuttavia, queste osservazioni richiedono più tempo rispetto alla spettroscopia del transito.

Dato il potenziale di queste osservazioni delle cosiddette eclissi secondarie, la Nasa ha recentemente approvato un vasto programma di osservazione per studiare le atmosfere dei pianeti rocciosi intorno a stelle vicine e di bassa massa. Questo programma, chiamato “Mondi rocciosi”, prevede 500 ore di osservazione con il Jwst. I ricercatori si aspettano così di poter avere una conferma definitiva utilizzando un’altra variante di osservazione: registrando l’intera orbita del pianeta intorno alla stella, comprese tutte le fasi di illuminazione, dal lato buio della notte quando passa davanti alla stella al lato luminoso del giorno poco prima e dopo essere stato coperto dalla stella. Questo approccio consentirà di creare una curva di fase, che indica la variazione di luminosità del pianeta lungo la sua orbita, e sarà possibile dedurre la distribuzione della temperatura superficiale del pianeta. Tale misurazione è già stata effettuata con Trappist-1 b e, analizzando la distribuzione del calore sul pianeta, si può dedurre la presenza di un’atmosfera. Questo perché un’atmosfera aiuta a trasportare il calore dal lato del giorno a quello della notte. Se la temperatura cambiasse bruscamente al passaggio tra i due lati, non dovrebbe esserci alcuna atmosfera.

Per saperne di più:

  • Leggi su Nature Astronomy l’articolo “Combined analysis of the 12.8 and 15 μm JWST/MIRI eclipse observations of TRAPPIST-1 b” di Elsa Ducrot, Pierre-Olivier Lagage, Michiel Min, Michaël Gillon, Taylor J. Bell, Pascal Tremblin, Thomas Greene, Achrène Dyrek, Jeroen Bouwman, Rens Waters, Manuel Güdel, Thomas Henning, Bart Vandenbussche, Olivier Absil, David Barrado, Anthony Boccaletti, Alain Coulais, Leen Decin, Billy Edwards, René Gastaud, Alistair Glasse, Sarah Kendrew, Goran Olofsson, Polychronis Patapis, John Pye, Daniel Rouan, Niall Whiteford, Ioannis Argyriou, Christophe Cossou, Adrian M. Glauser, Oliver Krause, Fred Lahuis, Pierre Royer, Silvia Scheithauer, Luis Colina, Ewine F. van Dishoeck, Göran Ostlin, Tom P. Ray e Gillian Wright