Miliardi di anni fa, nelle gelide regioni esterne del Sistema solare, due mondi ghiacciati si scontrarono. Invece di distruggersi l’un l’altro in una catastrofe cosmica, ruotarono insieme come un pupazzo di neve celeste, separandosi infine ma rimanendo per sempre legati dalla gravità. È così che hanno avuto origine Plutone e la sua luna più grande, Caronte, secondo un nuovo studio dell’Università dell’Arizona che sfida decenni di ipotesi scientifiche.
Lo studio in questione – guidato da Adeene Denton della Nasa, che ha condotto la ricerca presso il Lunar and Planetary Laboratory – ha rivelato questo inaspettato meccanismo di “bacio e cattura”, che potrebbe aiutare gli scienziati a capire meglio come si formano ed evolvono i corpi planetari.
Considerando un aspetto che gli scienziati planetari avevano trascurato per decenni – la forza strutturale dei mondi freddi e ghiacciati – i ricercatori hanno scoperto un tipo di collisione cosmica completamente nuovo. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Nature Geoscience.
Per decenni, gli scienziati hanno teorizzato che la luna insolitamente grande di Plutone, Caronte, si fosse formata attraverso un processo simile a quello terrestre: una collisione massiccia seguita dallo stiramento e dalla deformazione di corpi assimilabili a fluidi. Questo modello ha funzionato bene per il sistema Terra-Luna, dove l’intenso calore e le maggiori masse coinvolte hanno fatto sì che i corpi in collisione si comportassero più come fluidi. Tuttavia, quando è stato applicato al sistema Plutone-Caronte, più piccolo e più freddo, questo approccio ha trascurato un fattore cruciale: l’integrità strutturale della roccia e del ghiaccio. «Plutone e Caronte sono diversi: sono più piccoli, più freddi e fatti principalmente di roccia e ghiaccio. Quando abbiamo tenuto conto della forza effettiva di questi materiali, abbiamo scoperto qualcosa di completamente inaspettato», riferisce Denton.
Utilizzando simulazioni d’impatto avanzate su un cluster di calcolo ad alte prestazioni, il team di ricerca ha scoperto che, invece di allungarsi come mastice durante la collisione, Plutone e il proto-Caronte sono rimasti temporaneamente incollati, ruotando come un oggetto a forma di pupazzo di neve prima di separarsi nel sistema binario che osserviamo oggi. Sì, perché di sistema binario si tratta: come due pattinatori che ruotano tenendosi per mano, questi due corpi celesti orbitano attorno a un centro di massa comune.
«La maggior parte degli scenari di collisione planetaria sono classificati come hit and run (colpisci e scappa) o graze and merge (sfiora e fondi). Quello che abbiamo scoperto è qualcosa di completamente diverso: uno scenario kiss and capture (bacio e cattura), in cui i corpi si scontrano, rimangono brevemente uniti e poi si separano rimanendo legati gravitazionalmente», spiega Denton.
«L’aspetto interessante di questo studio è che i parametri del modello che funzionano per catturare Caronte finiscono per metterlo nell’orbita giusta. Si ottengono due cose giuste al prezzo di una», riporta Erik Asphaug, professore del Lunar and Planetary Laboratory e co-autore dello studio.
Lo studio suggerisce inoltre che sia Plutone che Caronte sono rimasti pressoché intatti durante la collisione, conservando gran parte della loro composizione originale. Questo sfida i modelli precedenti che suggerivano un’ampia deformazione e miscelazione durante l’impatto. Inoltre, il processo di collisione, compreso l’attrito mareale durante la separazione dei corpi, ha alimentato un notevole calore interno in entrambi i corpi, che potrebbe fornire un meccanismo in grado di sviluppare su Plutone un oceano sotto-superficiale senza richiederne la formazione nel Sistema solare primordiale, più radioattivo – un vincolo temporale che ha sempre messo in difficoltà gli scienziati planetari.
Il team di ricerca sta già pianificando studi di follow-up per esplorare diverse aree fondamentali. In particolare, vuole studiare come le forze di marea abbiano influenzato la prima evoluzione di Plutone e Caronte quando erano molto più vicini, analizzare come questo scenario di formazione si allinei con le attuali caratteristiche geologiche di Plutone ed esaminare se processi simili possano spiegare la formazione di altri sistemi binari.
«Siamo particolarmente interessati a capire come questa configurazione iniziale influisca sull’evoluzione geologica di Plutone», conclude Denton. «Il calore dell’impatto e le successive forze di marea potrebbero aver giocato un ruolo cruciale nel modellare le caratteristiche che vediamo oggi sulla superficie di Plutone».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Geoscience l’articolo “Capture of an ancient Charon around Pluto” di C. Adeene Denton, Erik Asphaug, Alexandre Emsenhuber e Robert Melikyan