Scoperto il primo gennaio del 1801 dall’astronomo italiano Giuseppe Piazzi, all’epoca direttore della Specola di Palermo, il pianeta nano Cerere è stato nello scorso decennio meta della missione della Nasa Dawn, che vi ha orbitato attorno a distanza ravvicinata per tre anni e mezzo, raccogliendo un’enorme mole di dati – molti dei quali ancora oggetto di studio – e portando a numerose scoperte. Una fra le più sensazionali, pubblicata nel 2017 su Science da un gruppo guidato da Maria Cristina De Sanctis dell’Istituto nazionale di astrofisica, è stata senza dubbio l’individuazione inequivocabile di tracce di materiale organico sulla sua superficie.
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Superficie del pianeta nano Cerere. I siti nei quali è stato individuato materiale organico sono evidenziati in rosso. La grande maggioranza si trova nei pressi del cratere Ernutet, nell’emisfero settentrionale. Crediti: Mps
Ma dove arriva quel materiale, in gran parte costituito da composti alifatici? Trattandosi di quelli che vengono comunemente definiti i “mattoncini della vita”, dunque di molecole di notevole interesse astrobiologico, gli scienziati si interrogano da tempo sulla loro origine: endogena, vale a dire dall’interno del pianeta nano, portate magari in superficie dai processi di criovulcanismo che caratterizzano Cerere? O esogena, come conseguenza d’impatti con asteroidi provenienti da regioni lontane?
Uno studio pubblicato ieri su Agu Advances, la rivista dell’American Geophysical Union, e condotto in parte anche con l’ausilio d’algoritmi d’intelligenza artificiale, che hanno aiutato gli autori a individuare nuovi depositi di composti alifatici sulla superficie del pianeta nano, favorisce la seconda ipotesi: le sostanze organiche arriverebbero da fuori, e a portarle su Cerere sarebbero stati gli impatti.
Dettaglio dei depositi di materiale organico (qui in rosso) nei pressi del cratere Ernutet. Crediti: Mps
«I siti nei quali sono state individuate le molecole organiche sono in realtà rari su Cerere e privi di qualsiasi firma criovulcanica», ricorda il primo autore dello studio, Ranjan Sarkar dell’Mps, il Max Planck Institute for Solar System Research (Gottinga, Germania). La grande maggioranza dei depositi si trova infatti lungo il bordo – o comunque in prossimità – del cratere Ernutet, nell’emisfero settentrionale del pianeta nano. Solo tre si trovano distanti da esso. L’attenta analisi delle strutture geologiche presenti nei siti in cui è stato individuato il materiale organico – due dei quali non erano noti prima del nuovo studio – hanno portato gli autori a propendere per l’origine esogena. «Nessuno dei depositi offre prove di attività vulcanica o tettonica attuale o passata: niente trincee, niente canyon, niente duomi lavici, niente bocche vulcaniche. Inoltre non ci sono, nelle vicinanze, tracce di crateri da impatto profondi», aggiunge un altro coautore dello studio, Martin Hoffmann, dell’Mps.
Quest’ultimo aspetto, l’assenza di crateri profondi, è ritenuto rilevante perché le simulazioni al computer indicano che i corpi che più frequentemente si sono scontrati con Cerere siano quelli provenienti dalla fascia esterna degli asteroidi. Gli asteroidi non troppo distanti, in particolare, non acquistano una velocità elevata, e questo fa sì che il calore sviluppato al momento dell’impatto sia contenuto, con temperature sufficientemente basse da consentire ai composti organici di sopravvivere.
«Ovviamente la prima ipotesi è che il caratteristico criovulcanismo di Cerere abbia trasportato il materiale organico dal suo interno alla superficie. Ma i nostri risultati mostrano il contrario», conclude un altro coautore dello studio, Andreas Nathues, sempre dell’Mps.
Per saperne di più:
- Leggi su Agu Advances l’articolo “Ceres: Organic-Rich Sites of Exogenic Origin?”, di R. Sarkar, A. Nathues, M. Hoffmann, E. Cloutis, K. Mengel, P. Singh, G. Thangjam, J. Hernandez, S. Karunatillake e M. Coutelier