Da sinistra: Mario Lattanzi, Mariateresa Crosta e William Beordo, i tre autori dell’articolo pubblicato su Jcap lo scorso dicembre, che mette a confronto le curve di rotazione previste da diversi modelli teorici con i dati ottenuti dalla Dr3 di Gaia. Crediti: Mariateresa Crosta/Inaf
L’avevamo intervistata nel 2020, in occasione di un articolo uscito su Mnras sulla curva di rotazione della Via Lattea che ha suscitato interesse e discussione nella comunità scientifica. Lei è Mariateresa Crosta, astrofisica all’Inaf di Torino e coautrice di due nuovi articoli di follow-up, pubblicati lo scorso marzo su Mnras e lo scorso dicembre nel Journal of Cosmology and Astroparticle Physics. I due lavori sono parte della tesi di dottorato di William Beordo, primo autore di entrambi gli articoli. Il tema è lo stesso: riprodurre la curva di rotazione della nostra galassia, ovvero tracciare la velocità rotazionale delle stelle in funzione della loro distanza dal centro. I dati, invece, sono quelli della Dr3 di Gaia, che hanno fornito circa 130 volte più stelle rispetto a quelle utilizzate nel primo articolo, basato invece sulla DR2. L’idea, allora come oggi, è quella di riprodurre la curva di rotazione delle stelle nella nostra galassia usando una geometria rigorosamente relativistica, che non necessita di una componente di materia oscura, né di altre modifiche di sorta, per riprodurre l’osservato. In questo nuovo studio, gli autori hanno messo a confronto questo approccio con altre due teorie, quella standard e la cosiddetta Mond. Avrà funzionato anche questa volta, con i dati della nuova Dr3? Media Inaf ha intervistato Mariateresa Crosta, coautrice del nuovo studio.
Già nel 2020 avevate proposto questo approccio alternativo alla teoria cosmologica oggi più comunemente accettata, il cosiddetto modello LambdaCdm. Cosa c’è che non convince in questo modello?
«La motivazione principale è stata voler provare fino a che punto la fisica di una galassia, intesa come oggetto esteso, sia governata dalla teoria di Einstein, soprattutto alla luce dei dati sempre più accurati di Gaia, il satellite dell’Esa che ha mappato la nostra Via Lattea fino al 15 gennaio scorso. Una precisazione doverosa: l’accuratezza raggiunta da Gaia – il microarcosecondo, equivalente a misurare, da Giove, la dimensione della stella sulla Mole Antonelliana – obbliga a tener conto di qualunque correzione relativistica che possa influenzare la luce di una stella nel suo percorso fino a noi osservatori. In altre parole, obbliga a seguire una sorta di filo d’Arianna attraverso le curvature mutevoli locali (la luce viene infatti curvata dalla presenza di corpi celesti come stelle, pianeti, o ammassi, che esercitano attrazione gravitazionale su di essa, ndr) fino alla stella. Dati questi dati, però, finora le curve di rotazione delle stelle sono sempre state costruite assumendo una fisica newtoniana, ovvero un’approssimazione della Relatività generale».
Come mai?
«Perché si ritiene che le velocità delle stelle siano molto più piccole della velocità della luce, e che quindi non sia necessario ricorrere alla complessità della Relatività generale per descriverli. Noi, però, ne facciamo più che altro una questione scientifico epistemologica: se i dati che forniamo alla comunità astronomica sono modellati secondo Einstein, allora per consistenza anche la nostra galassia deve essere modellata sulla base della stessa teoria. E tracciare la sua curva di rotazione è, per noi, il test più immediato da effettuare avendo a disposizione i dati cinematici e spettroscopici di Gaia».
Quindi, se capisco bene, visti i dati provenienti da Gaia sarebbe giusto costruire una curva di rotazione basandosi sulla teoria della Relatività generale.
«Esatto. Per quanto riguarda il modello della nostra galassia, la nostra sfida è stata testare il profilo di velocità che abbiamo ricavato basandoci su un approccio strettamente conforme alla Relatività generale, e metterlo a confronto con i modelli attualmente in uso, in particolare il modello classico di Newton, che include un alone di materia oscura, e l’approccio alternativo Mond che va per la maggiore. In realtà il nostro approccio non è in contraddizione con il modello LambdaCdm, che pure fa uso della Relatività generale. Per intenderci, non è che stiamo escludendo un effetto di “materia oscura”, semplicemente forniamo un’interpretazione, compatibile con la teoria standard della gravità, della piattezza delle curve di rotazione della Via Lattea senza invocare una componente di alone (di materia oscura) ad hoc, che circonderebbe la galassia, o un’accelerazione correttiva nel caso di Mond».
La curva di rotazione della Via Lattea ottenuta con i dati della Dr3 di Gaia, sopra la quale sono state aggiunte le curve di rotazione previste da diversi modelli teorici. Crediti: Gaia – immagine della galassia; W. Beordo et al., JCAP (2024)
La questione dietro alle curve di rotazione, lo ricordiamo, è che alla periferia delle galassie, le velocità delle stelle rimangano piuttosto sostenute, anziché diminuire come previsto dalla gravità di Newton. Ne risulta un grafico con la curva più piatta di quanto ci si attenderebbe. Per “correggerlo”, alcune teorie prevedono l’aggiunta di una componente gravitazionale in più, ovvero la materia oscura, oppure una correzione da inserire nella legge di gravitazione, come nel caso della teoria Mond. Nel vostro caso, quindi, la materia oscura qui non servirebbe più?
«Pensare a possibili applicazioni dell’equazioni di campo di Einstein per tener conto di un universo senza componenti oscure è un argomento innovativo, ma non nuovo. La letteratura ci offre esempi sulle curve di rotazione già a partire dal 2007 ma pensati per le galassie esterne. Il messaggio è stato raccolto da pochi adepti. Parafrasando il significato delle equazioni di Einstein, noi abbiamo considerato un effetto di curvatura per quanto concerne come “lo spazio dice alla masse di muoversi”, non come “la massa dice allo spazio tempo di curvarsi”. In altre parole, stiamo indagando la possibilità che esista un trascinamento gravitazionale derivante dalla formazione ed evoluzione della galassia. È utile precisare che le equazioni di Einstein consentono di separare il contributo di velocità da quello per la densità di massa, cosicché non si avrebbe il legame tra le due quantità come avviene nel caso classico (o di Mond) da dove originerebbe la necessità di un contributo di massa extra di alone».
Per dipanare la questione fra correzioni e teorie, dunque, perché i dati di Gaia possono essere d’aiuto?
«Ciò che non è stato fatto in passato è avanzare l’ipotesi di un possibile effetto di curvatura sulla curva di rotazione impostando le osservabili nel contesto dell’astrometria relativistica (l’approccio geometrico che proponiamo noi) e poi testarla con il campione di dati più accurato, più numeroso, più completo e più omogeneo di sempre che offre lo strumento Gaia. Con il primo lavoro abbiamo utilizzato circa seimila stelle della Dr2 di Gaia (il rilascio dei dati corrispondente a 22 mesi di osservazioni), mentre negli ultimi due articoli (il primo pubblicato ad aprile 2024, e il secondo in dicembre) ben circa 800mila stelle della Dr3 (34 mesi di dati raccolti), tutte caratterizzate da posizioni, velocità e distanza misurate da Gaia. La selezione rappresenta le stelle che meglio tracciano sul piano equatoriale orbite stabili, oggetti che hanno raggiunto l’equilibrio e quindi rappresentano dei traccianti fedeli sul disco galattico. Gaia è straordinaria proprio per questo: la misura senza precedenti e diretta della cinematica “relativistica” di ogni stella unita a quella della sua distanza permette di porre limiti molto stringenti al potenziale gravitazionale di cui subisce l’influenza. Per le galassie esterne abbiamo meno osservazioni puntuali di questo tipo».
Quali sono le differenze principali fra le teorie che avete testato? E quali sono le conseguenze, ad esempio, sulle conoscenze che abbiamo raccolto finora sulla nostra galassia?
«Per quanto riguarda le curve di rotazione le differenze principali sono, a grandi linee, quelle menzionate prima. Nel modello LambdaCdm si assume che la Relatività generale si riduca al suo limite newtoniano su scale galattiche, ma per tener conto della piattezza delle curve di rotazione osservate, ovvero del fatto che le stelle mantengono lontano dal centro galattico un valore di velocità costante non previsto da Newton, occorre aggiungere ai modelli del disco e del nucleo galattico un alone di materia oscura di cui non si conosce ancora la natura. Questa materia, impossibile da osservare attraverso l’emissione di onde elettromagnetiche, per definizione, dovrebbe essere circa 5-10 volte superiore al contenuto di materia “osservabile” nella nostra galassia, affinché il limite newtoniano della Relatività generale ne riproduca correttamente la curva di rotazione misurata. La teoria Mond, invece, introduce una correzione ad hoc all’accelerazione gravitazionale, che si riduce alla teoria newtoniana in presenza di forti accelerazioni, mentre va ad aumentare la forza gravitazionale in regimi di bassa accelerazione, come nella periferia delle galassie, dove la curva di rotazione risulta essere piatta. Poi ci sono anche teorie che prevedono modifiche alla Relatività generale. Il vantaggio di esplorare la Relatività generale piuttosto che sue alternative è che essa costituisce la teoria standard della gravità in un intervallo di ben 60 ordini di grandezza, evitandoci di scomodare i fenomeni fisici su cui poggiano le nostre certezze che le alternative devono comunque prevedere. Inoltre, la nostra galassia è il prodotto cosmologico a noi più vicino e quindi il laboratorio ideale per verificare le previsioni cosmologiche alla nostra epoca (che dicono come si è evoluto l’universo vicino). Se costruiamo un modello fisico della nostra galassia questo costituirà il “modello di riferimento” per altre galassie simili alla nostra, come lo è il Sole per le stelle».
Fra i tre modelli che avete testato – modello newtoniano, Mond, e modello relativistico – quale funziona meglio, alla fine?
«C’è da dire che il modello di Relatività generale è il più semplice possibile, in cui si utilizzano alcune soluzioni particolari appartenenti una classe più generale di soluzioni dell’equazioni di campo di Einstein. Il problema è che la nostra galassia è un oggetto esteso e multistrutturato, e si conoscono poche soluzioni esatte delle equazioni di Einstein. Quella da noi adottata, e poi adattata all’osservabile relativistico per Gaia, risulta valida solo sul piano equatoriale (o almeno fino a un kiloparsec da esso) e lontano dal centro galattico dove risiede una singolarità [il buco nero supermassiccio SgrA*, ndr]. Per descrivere le curve di rotazione questo è più che sufficiente. I fit con i dati di Gaia Dr3 hanno confermato ancora una volta che tutti i modelli sono statisticamente equivalenti, nel senso che riproducono la curva di rotazione osservata e il profilo di densità della galassia senza dirimenti differenze, e soprattutto che non smentiscono il test sull’effetto di trascinamento gravitazionale che è stata la nostra ipotesi principe di lavoro. E fa riflettere: un modello basato sulla Relatività generale, più semplice possibile, con meno parametri e coerente con la teoria standard è staticamente equivalente a un altro modello con più parametri e con componenti ad hoc di cui non si conosce ancora la natura. Se hypoteses non fingo e applico il rasoio di Occam la Relatività generale dovrebbe essere favorita. Ciò suggerisce con maggior vigore la necessità di ulteriori avanzamenti nelle soluzioni matematiche dell’equazioni di Einstein per descrivere un oggetto multistrutturato come la galassia nell’ambito della Relatività generale e nel contesto LambdaCdm che necessiterebbe di materia oscura fredda».
Quindi i vostri risultati rischiano di mettere in discussione, ancora una volta, la necessità di invocare materia oscura ed energia oscura per colmare il bilancio energetico dell’universo?
«Non proprio. I nostri risultati al momento riguardano solo la curva di rotazione della nostra galassia. La necessità di materia oscura o energia oscura è presente anche in altri contesti. Per cui si deve procedere per gradi, adattando le geometrie e i relativi osservabili caso per caso. Nello spirito di cui si diceva prima, c’è già un grosso vantaggio a costruire un modello per la nostra galassia».
Che mi dice invece della Relatività generale? Anche questa è in discussione?
«La Relatività generale è una teoria molto prolifica, ma non sempre viene applicata nel modo corretto semplicemente perché sono necessari dei cambi di paradigma, come è avvenuto nel caso di Gaia, dovuti alle nuove accuratezze in gioco. Sicuramente non è eterna, ma se uno la sonda fino in fondo delimita i regimi dove può essere messa in discussione e aiuta a comprendere come andrebbe modificata».
Per saperne di più:
- Leggi sul Journal of Cosmology and Astroparticle Physics l’articolo “Exploring Milky Way rotation curves with Gaia Dr3: a comparison between ΛCDM, MOND, and general relativistic approaches“, di William Beordo, Mariateresa Crosta e Mario Lattanzi
- Leggi su Mnras l’articolo “Geometry-driven and dark-matter-sustained Milky Way rotation curves with Gaia Dr3“, di William Beordo, Mariateresa Crosta, Mario Lattanzi, Paola Re Fiorentin e Alessandro Spagna
Correzione del 30/01/2025: la risposta alla quarta domanda è stata ampliata, sono state aggiunte alcune precisazioni alle risposte 5, 6 e 7 ed è stato corretto un refuso in un nome nella prima didascalia.