Nino Panagia è nato e cresciuto a Roma, dove si è laureato in fisica nel 1966. Alla fine degli anni ’60 e ’70 ha ricoperto incarichi presso l’Istituto di astrofisica spaziale di Frascati, in Italia, e l’Istituto di radioastronomia di Bologna. Alla fine degli anni ’70 visitò gli Stati Uniti per un anno per lavorare con il dottor Yervant Terzian alla Cornell University e decise che voleva lavorare e vivere negli Stati Uniti. Negli anni ’80, come dipendente dell’Agenzia spaziale europea, fu invitato dal professor Riccardo Giacconi a unirsi al nuovo Space Telescope Science Institute, responsabile della missione scientifica del telescopio spaziale Hubble. Nel 1986 fu nominato professore ordinario al Dipartimento di fisica e astronomia dell’Università di Catania dove ha insegnato fino al 1995 e ha continuato a ritornare, negli anni successivi, come associato Inaf all’Osservatorio astrofisico di Catania.
Nino era ben noto per la sua intensa, attiva e lunga carriera scientifica, con più di trecento articoli in riviste peer reviewed in quasi sessant’anni e conferenze tenute in tutto il mondo su una varietà di argomenti di astrofisica, tra cui le supernove, le stelle massicce, il mezzo interstellare e la formazione stellare. È stato uno dei primi astronomi emeriti nominati presso lo Space Telescope Science Institute. Ha vinto il prestigioso Premio Gruber in Cosmologia nel 2007 per il suo ruolo nella determinazione del tasso di espansione dell’universo. Infine, è stato collaboratore del team di Saul Perlmutter, insignito del Premio Nobel per la fisica nel 2011 per la scoperta riguardante l’accelerazione dell’espansione dell’universo attraverso lo studio delle supernove.
«Mi è difficile commentare la scomparsa di Nino in modo “bilanciato”, senza rischiare di cadere nei soliti luoghi comuni secondo cui chi ci lascia era sempre il “migliore”. Non saprei dire se questo fosse vero, ma sono sicuro che a lui sarebbe piaciuto che noi lo pensassimo. La sua profonda conoscenza dell’astrofisica, sia negli aspetti teorici che nelle applicazioni pratiche, lo rendeva un astronomo di straordinaria versatilità. Poteva “transitare” con disinvoltura da una trattazione quantitativa del “Bondi accretion” a una discussione dettagliata dei bias connessi con la riduzione delle osservazioni astronomiche, per terminare con la preparazione di una meravigliosa pasta con i broccoli. L’identificazione del progenitore di Sn 1987A e la misura della sua distanza (assieme a Roberto Gilmozzi, un altro “fedelissimo” del “Professore”, come molti chiamavano Nino a Stsci) sono alcuni dei fiori all’occhiello della sua variegata produzione scientifica. Riporto un dato significativo, che testimonia il valore del suo contributo all’astrofisica: il suo lavoro “Some Physical Parameters of Early-Type Stars”, pubblicato nel 1973, continua a essere citato ininterrottamente da 52 anni, incluso il 2025. Forse l’aspetto che più emoziona, chiunque sia stato suo studente o giovane collaboratore, era la sua capacità di insegnare astrofisica durante la stesura dei manoscritti, trasmettendo non solo le conoscenze scientifiche, ma anche l’arte di scrivere un lavoro scientifico, concentrandosi esclusivamente sugli elementi essenziali e tralasciando il “superfluo”. Il suo aforisma motivazionale era: “se lo fai bene, viene meglio”.
Quando era a capo della divisione “Academic Affairs” di Stsci aveva un ufficio d’angolo molto grande. Lo aveva arredato stile museo inglese di epoca vittoriana, che sembrava il negozio di un antiquario gestito da una nobildonna della stessa epoca. Ne era molto fiero, e spesso vi rimaneva fino a sera tarda a lavorare alla luce di una lampada fioca. La scena sembrava uscita da un film di Agatha Christie, però non lo hanno mai accoltellato.
Aveva un carattere un po’ “umorale”, che cambiava come il tempo. Nelle giornate “nuvolose” poteva diventare polemico e meticoloso (per usare un eufemismo) all’inverosimile. I litigi, accompagnati da celebri epiteti, riecheggiano ancora nei corridoi dello Stsci: il suo “sei st.… e in malafede” è leggenda. Una volta, un cupo Massimo Stiavelli venne in ufficio e di punto in bianco mi chiese se fosse meglio farsi cavare un molare senza anestesia o avere Nino come referee. La risposta la conosce il mio dentista».
Massimo Della Valle
Letto e sottoscritto da: Roberto Gilmozzi, Massimo Stiavelli, Claudia Scarlata, Guido de Marchi, Martino Romaniello, Sandra Savaglio, Piero Rosati, Mauro Giavalisco, Antonella Nota, Letizia Stanghellini, Piero Madau, Paolo Padovani, Daniela Calzetti, Monica Tosi, Carla Cacciari, Filippo Mannucci, Francesca Matteucci e Gianni Zamorani. Ci mancherai, Nino, ma sarai sempre con noi.
«Conosco Nino da 35 anni e negli ultimi 15 abbiamo lavorato a stretto contatto, scrivendo insieme più di 30 papers. Quante telefonate, quanti messaggi, ma soprattutto quante chiamate su Skype, almeno una al giorno! Le nostre famiglie lo sapevano, quando Diana o Henk si sentivano dire “I am on the phone with Guido” o “Nino is calling on Skype” sapevano che per la successiva mezz’ora tutte le altre faccende di casa sarebbero passate in secondo piano. Certo, discutevamo di scienza e di ricerca, di estinzione e di eccesso in H-alpha, di spettri e di fotometria, ma anche di tante altre cose, compresa la storia antica e le ricette di cucina. E quando la malattia di Nino ha reso più difficili le comunicazioni a distanza, rimaneva sempre la possibilità, ogni qualche mese, di sedersi insieme e di parlare, di scienza o di altro. Questa è l’ultima foto scattata a casa sua, in giardino, sperando che le nostre osservazioni con Jwst del mese successivo sarebbero state un successo (lo sono state!).
Nel bellissimo pezzo scritto da Massimo Della Valle emerge il Nino che in tanti abbiamo conosciuto e a cui abbiamo voluto un gran bene, il Nino pignolo e il Nino accomodante, il Nino preparatissimo e il Nino maestro, il Nino che all’università era conosciuto per poter dimostrare con uguale convinzione una cosa e il suo contrario, e il Nino del “se lo fai bene, viene meglio”, che era diventata la sua massima. Ma non era la sola. Ne voglio ricordare un’altra che Nino menzionava spesso durante la nostra ricerca: “non lo facciamo perché è difficile, come diceva JFK, ma perché è facile eppure nessuno ci ha ancora pensato!” Questo ha ispirato molta della nostra ricerca insieme: fare quello che è possibile ed assicurarsi che sia solido e robusto, perché “se lo fai bene, viene meglio!”
Conoscere Nino e lavorare con lui per tutti questi anni è stato per me un onore e un vero piacere. Ora è difficile dirgli addio, ma bisogna. Per fortuna rimangono i ricordi, tanti e belli, e per me anche lo squillo inconfondibile di Skype: Nino is calling!».
Guido De Marchi
«Nino Panagia è la persona che per prima mi ha insegnato a fare ricerca. Laureata da pochi mesi, lo conobbi a un congresso a Frascati e non dimenticherò mai il suo sguardo, vero specchio di una mente eccezionalmente acuta e, forse, di un’anima inquieta. Lavorando con lui imparai sia il suo metodo di ricerca scientifica sia il modo per descriverne adeguatamente i risultati. In sintesi, da lui ho imparato tutto.
Negli anni ci siamo ritrovati tante volte: prima nei suoi ultimi anni a Bologna, insoddisfatto del sistema italiano, troppo burocratico; poi nei suoi anni a Baltimora, i difficili anni pionieristici di creazione di Stsci e di preparazione all’utilizzo di Hst, seguiti dagli anni felici del consolidamento dei successi di Hst e suoi personali, finalmente con tanti giovani promettenti a seguirlo nei vari campi di interesse in cui Nino brillava con le sue intuizioni, la sua competenza e il suo estro. L’ultima volta che l’ho incontrato, una decina di anni fa, era già in pensione, uno dei primi emeriti a Stsci, ma era il solito Nino e per me resterà sempre quello: pungente, critico, pieno di idee per nuovi progetti scientifici».
Monica Tosi
Nino Panagia con Howard Bond, Larry Petro, Nolan Walborn, Carla Cacciari, Brad Whitmore e Loretta Willers
«Ho conosciuto Nino a Baltimora nel settembre 1984, quando si unì al gruppo Esa presso lo Space Telescope Science Institute, in preparazione di Hubble il cui lancio era allora previsto per il 1986. Fummo assegnati entrambi al Guest Observer Support Branch (Gosb), incaricato di definire e implementare le procedure per la gestione delle domande di tempo osservativo, e di curare la loro prima applicazione ai programmi di tempo garantito. Il Gosb era guidato da Neta Bahcall, e ricordo con nostalgia e divertimento le discussioni animate nel gruppo e soprattutto fra Neta e Nino, che proponeva soluzioni innovative e originali per quello che doveva essere uno strumento all’avanguardia nella ricerca astronomica dei decenni successivi. I nostri interessi scientifici non coincidevano, ma Nino era sempre disponibile a discutere di tutto con una visione critica e brillante, un punto di riferimento importante per tutti i colleghi e specialmente per i più giovani. Vorrei ricordarlo anche per i suoi interessi al di fuori del lavoro, il suo gusto per le cose belle, il desiderio di amicizia e convivialità, la sua abilità culinaria – mitico il suo cheesecake! – e le bellissime azalee del suo giardino. L’amore per la conoscenza, certo, ma anche la ricerca di quello che rende la vita piena e bella».
Carla Cacciari
«Ho conosciuto Nino ormai vent’anni fa per un articolo sui lampi di luce gamma collegati a stelle di grande massa. Mi hanno subito colpito la sua enorme cultura scientifica (e non solo) e la sua “italianità” anche in terra straniera. Con Nino si parlava di tutto, di scienza, di cucina, di musica e di cultura in generale, sempre con entusiasmo e competenza».
Sergio Campana
«Ho conosciuto Nino quando ero studente di fisica all’università di Catania e ne ho apprezzato subito le straordinarie doti didattiche. La teoria spiegata con grande chiarezza prendeva subito forma quando ne mostrava le applicazioni concrete a fenomeni astrofisici. Quando gli chiesi la tesi l’anno dopo me la concesse confessandomi che io ero il secondo studente a cui avesse mai dato una tesi. Questo segnò l’inizio di una collaborazione fruttuosa che si è protratta per ben quindici anni ma anche di un percorso che avrebbe avuto un impatto significativo sulla mia formazione e sulla mia vita professionale. Riflettendo su quel momento, a distanza di tempo, mi rendo conto di quanto quella sua decisione abbia rappresentato una svolta significativa nella mia vita, orientandola verso direzioni inaspettate e contribuendo a formare la persona che sono oggi.
Durante gli anni trascorsi allo Space Telescope Science Institute, prima come dottorando, poi come Esa fellow e infine come visitatore, ho avuto l’opportunità di apprezzare non solo le sue straordinarie competenze scientifiche, ma anche le sue qualità umane. Molti sono i ricordi legati a quel periodo. Le lunghe discussioni nel suo studio in cui riusciva sempre a convincermi della necessità di approfondire analisi o fare nuovi calcoli, talvolta ritardando la pubblicazione di un lavoro, per garantire risultati migliori, o quella volta in cui, nella cucina di casa sua, discutemmo vivacemente su quale fosse il modo migliore per cucinare le melanzane per la pasta alla norma. Quella volta, forse, riuscii ad avere la meglio.
Ciao Nino».
Salvo Scuderi
«Dal 1965 al 1968 Nino ed io eravamo ambedue al Laboratorio di astrofisica di Frascati, dirimpetto al Sincrotrone dell’Infn. Perdipiù, abitavamo con le famiglie nella stessa casa, lui al pianterreno, io al secondo. A quell’epoca eravamo tutti “tutorless” e dovevamo inventarci un campo di ricerca tutto da noi. Così, a un certo punto lui si mise sui processi radiativi in situazioni astrofisiche e io andai sull’evoluzione stellare. È di quegli anni il suo celebrato articolo sul continuo nebulare dovuto al decadimento a due fotoni. Una cosa proprio oggi di estrema attualità, con galassie ad altissimo redshift i cui spettri Jwst mostrano il “Balmer jump” (il contrario del “break”) dovuto infatti al continuo nebulare. Quanto gli sarebbe piaciuto assistere a queste scoperte!
Poi io mi trasferii a Bologna e di lì a poco anche lui. Eravamo in due diversi istituti, ma ci vedevamo ogni tanto per discutere di vari argomenti e io contavo sul suo consiglio circa le proprietà dei grani interstellari, l’estinzione e simili.
Gli interessi di Nino coprivano una varietà di campi, dalle supernove agli Agn (fu Nino a inventare i “Plerioni”) ai venti stellari ed altro. Con approcci originali ha prodotto risultati importanti in tutti questi campi, e provava particolare soddisfazione se poteva trattare con precisione finanche le sottigliezze.
Siamo tutti unici, ma Nino lo era eccome».
Alvio Renzini
Correzione del 1/2/2025: nel 1966 Panagia non ha ottenuto il dottorato, come inizialmente scritto, bensì la laurea (vedi cv sul sito Icranet)