È stato messo in orbita per catturare e studiare eventi transienti a raggi X, il telescopio spaziale Einstein Probe. E non ha deluso le attese: a distanza di poco più di un anno dal lancio, le sue ottiche lobster-eye (a “occhi di aragosta”) hanno già individuato oltre dieci sorgenti transienti. È notizia di pochi giorni fa che il telescopio ha ora scoperto la sua ennesima fugace esplosione di raggi X. Non un’esplosione qualsiasi, però. A produrla sarebbe infatti una rara coppia stellare, un sistema binario composto da una nana bianca che accresce materia da una stella di sequenza principale di tipo Be.

Rappresentazione artistica del telescopio spaziale Einstein Probe. Crediti: Chinese Academy of Sciences
Tutto è cominciato il 27 maggio del 2024, quando i rivelatori del Wide-field X-ray telescope (Wxt) – uno dei due strumenti di cui è dotato l’Einstein Probe, collaborazione fra l’accademia cinese delle scienze (Cas), L’Esa e il Max Planck Institute für Extraterrestrische Physik – vengono sollecitati da fotoni X provenienti da una sorgente sconosciuta. L’emissione arriva da una regione situata nella Piccola Nube di Magellano, una delle galassie a noi più vicine. L’analisi delle curve di luce prodotte dallo strumento non lascia dubbi: si tratta di un outburst, un’esplosione transiente di raggi X.
L’evento, etichettato come EP J0052, mette subito in guardia gli scienziati, che oltre a puntare verso la sorgente il Follow-up X-ray Telescope (Fxt) – l’altro dei due strumenti scientifici a bordo dell’Einstein probe – diramano l’allerta ad altri telescopi sensibili alla luce X. Swift, Nicer e Xmm-Newton rispondono alla chiamata. L’obiettivo era effettuare osservazioni di follow-up per studiare in dettaglio l’esplosione e caratterizzare la sorgente che l’ha prodotta. I dati X ottenuti dai telescopi arrivano tra le mani di un team guidato da Alessio Marino, ricercatore all’Institute of Space Sciences di Barcellona, in Spagna, e associato Inaf. Il tempo necessario per una approfondita analisi degli spettri e arriva il responso, pubblicato martedì scorso sulle pagine della rivista The Astrophysical Journal Letters.
Le analisi degli spettri X ottenuti dai vari telescopi indicano che il transiente osservato da Einstein Probe sia un’emissione di raggi X a bassa energia. Outbust supersoft, è così che la chiamano gli astronomi. Non si tratta di un raro tipo di esplosione. Quello che è raro è invece la sorgente che l’ha prodotta.
Illustrazione artistica che mostra la struttura di una stella nana bianca. Crediti: University of Warwick/Mark Garlick
La presenza negli spettri di caratteristiche in assorbimento ed emissione, in particolare di bordi di assorbimento – discontinuità nello spettro di assorbimento di una sostanza – a circa 0.63, 0.88 e 1 KeV (la firma di azoto, ossigeno e neon nel materiale esploso), suggeriscono che a produrre il fugace flare di raggi x sia stato un Be-white dwarf X-ray binary systems, cioè un sistema binario costituito da una nana bianca e una stella Be, in cui la prima accresce materia dalla seconda.
Alessio Marino, primo autore dello studio pubblicato su ApJL, ricercatore all’Institute of Space Sciences di Barcellona, in Spagna, e associato all’Inaf Iasf di Palermo
«EP J0052 è stato scoperto da Einstein Probe come una nuova sorgente di raggi X nel cielo lo scorso anno, “esplosa” nella vicina Piccola Nube di Magellano», dice Marino a Media Inaf. «Una volta visti i dati, ci siamo subito resi conto di avere a che fare con una bestia piuttosto rara. Lo spettro X della sorgente, per forma e per la presenza di righe spettrali di neon e ossigeno, era quello che ci aspettiamo da una nana bianca quando divora materia da una piccola stella compagna più piccola del Sole, un tipo di sistema molto comune nella nostra galassia. Tuttavia, EP J0052, pur essendo sì un sistema composto da due stelle, non è un sistema affatto comune, in quanto l’altro componente di questa coppia cosmica è una stella molto massiccia di tipo Be, probabilmente una decina di volte più grande del Sole»
Le due stelle nel sistema orbitano vicine l’una all’altra. Il loro rapporto di coppia, come anticipato, non è tuttavia idilliaco. L’intenso campo gravitazionale della nana bianca, infatti, succhia materia dalla stella compagna. Man mano che sempre più materia cade sull’oggetto compatto, questa si comprime, fino a quando non si innesca sulla sua superficie un’esplosione termonucleare incontrollata. Ciò crea un luminoso lampo di luce che brilla nel cielo in un’ampia gamma di lunghezze d’onda, compresa quella della luce X osservata da Einstein Probe.
La scoperta che a produrre EP J0052 sia un simile sistema è stata una sorpresa per i ricercatori. «Si tratta di un sistema non solo insolito, ma in qualche modo sorprendente», continua Marino. «Le nane bianche sono stelle “morte” che ci aspettiamo di vedere dopo miliardi di anni alla fine della vita di stelle relativamente piccole. Le stelle di tipo Be vivono invece una vita molto più breve, dell’ordine di decine di migliaia di anni. Sembra impossibile che queste stelle, una molto giovane ed una molto vecchia, possano esistere insieme».
La soluzione di questo impasse, per i ricercatori, e da ricercarsi nei progenitori del sistema. L’ipotesi è che i due oggetti celesti siano la discendenza di una coppia formata da due stelle di sequenza principale, che hanno sperimentato una fase di involucro comune e almeno due episodi di trasferimento di massa.
Infografica che mostra il probabile processo evolutivo che ha portato alla formazione dell’esotica binaria X EP J0052 scoperta dai ricercatori. Crediti: Esa
«Quello che pensiamo sia successo è che EP J0052 discenda da una coppia di stelle parecchio massicce, di 8 e 6 volte la massa del Sole rispettivamente» , spiega Marino. «La stella più massiccia esaurisce il combustibile nucleare prima e si espande, fino al punto in cui l’altra stella inizia ad accumulare parte degli strati esterni della stella rigonfiata. Alla fine di questo scambio di materia, in un lasso di tempo di soli 40mila anni circa, della stella che ha ceduto massa rimane solo il nucleo che collassa su sé stesso diventando una nana bianca, mentre la stella che ha ricevuto materia è cresciuta fino a diventare una gigante di tipo Be. Adesso la situazione si è capovolta, con la nana bianca che accresce materia dagli strati esterni della stella Be».
Se la natura della sorgente venisse confermata, questo lavoro potrebbe rappresentare uno dei pochissimi casi in cui un’esplosione di raggi X in tali sistemi è stata monitorata a fondo per la maggior parte della sua durata, dall’aumento al decadimento, sottolineano i ricercatori. Le capacità di monitoraggio dell’Einstein Probe nella gamma dei raggi X “morbidi” – come chiamano gli astronomi i raggi X a bassa energia – sono particolarmente adatte a scoprire outburst supersoft emessi da queste sorgenti, offrendo l’opportunità di affrontare molte questioni irrisolte su di esse.
«Einstein Probe offre l’opportunità unica di individuare queste emissioni fugaci e mettere alla prova la nostra comprensione di come si evolvono le stelle massicce», conclude Erik Kuulkers, astronomo dell’Esa e project scientist di Einsten Probe. «La scoperta di questa sorgente mette in mostra le capacità rivoluzionarie di questa missione»
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal Letters l’articolo “Einstein Probe Discovery of EP J005245.1−722843: A Rare Be–White Dwarf Binary in the Small Magellanic Cloud?” di A. Marino, H. N. Yang, F. Coti Zelati, N. Rea, S. Guillot, G. K. Jaisawal, C. Maitra, J.-U. Ness, F. Haberl, E. Kuulkers