La luce, lo sappiamo, è fatta di fotoni. Particelle prive di massa che si muovono alla velocità – appunto – della luce illuminando qualunque oggetto riescano a “toccare” lungo il loro percorso. Ma si possono contare, i fotoni? Con uno strumento come Iqueye (Italian Quantum Eye), sì. E riuscendo a distinguere persino due fotoni che arrivano ad appena mezzo miliardesimo di secondo uno dall’altro. Lo strumento, come dice il nome stesso, è italiano. Il suo gemello Aqueye+ (Asiago Quantum Eye), il primo a essere stato costruito, si trova stabilmente all’Osservatorio di Asiago dell’Inaf, mentre Iqueye è vagabondo e viene ospitato da vari telescopi in giro per il mondo, offrendo loro una modalità osservativa del tutto peculiare.
Il team dell’Inaf di Padova e dell’Università di Padova con lo strumento Iqueye. Crediti: Luca Zampieri
Dall’inizio di febbraio Iqueye è ospite per la prima volta di un telescopio della classe 8 metri, il Gemini South, situato a Cerro Pachon, in Cile. Tecnicamente, lo strumento è un fotometro estremamente potente, che oltre a raccogliere il flusso di fotoni in arrivo da una sorgente (prerogativa questa di qualunque fotometro), riesce a rilevare un singolo fotone per volta. Man mano che i fotoni arrivano, ognuno di essi viene etichettato singolarmente con il suo orario di arrivo. Questo metodo di conteggio consente a Iqueye di effettuare misurazioni temporali precise con un’accuratezza di appena 0,5 nanosecondi. Una capacità, questa, che lo rende particolarmente adatto a osservare oggetti astronomici che variano molto velocemente nel tempo a velocità elevate, come pulsar, blazar e magnetar.
«Il progetto Aqueye+Iqueye nasce a Padova, da una ormai ventennale collaborazione tra l’Università di Padova e l’Inaf, con l’obiettivo di studiare fenomeni astrofisici ad altissima risoluzione temporale in luce visibile, fino al limite dell’ottica quantistica, utilizzando strumenti innovativi a conteggio veloce di fotoni», spiega a Media Inaf Luca Zampieri, ricercatore all’Inaf di Padova e responsabile Inaf del progetto. «Dal 2005 abbiamo realizzato due strumenti gemelli, Aqueye+ e Iqueye, in grado di memorizzare il tempo di arrivo di ogni singolo fotone con una risoluzione temporale relativa migliore di cento picosecondi. L’installazione di Iqueye al telescopio Gemini South come visitor instrument è quindi l’ultima importante tappa di un percorso che parte da lontano e che ha visto prima la realizzazione di Aqueye+, attualmente montato al telescopio Copernico di Asiago, e poi quella di Iqueye, montato in precedenza al New Technology Telescope in Cile e al telescopio Galileo ad Asiago. Da questa strumentazione abbiamo già avuto grandi soddisfazioni, in particolare nello studio delle pulsar ottiche».
Come dicevamo, in passato Iqueye è stato ospite di altri telescopi, ma questa è la prima volta che le sue capacità di conteggio uniche si accoppiano a un telescopio otticamente potente come Gemini South, e per questo ci sono grandi aspettative.
«Iqueye è uno strumento che è stato realizzato appositamente per interfacciarsi con il New Technology Telescope a La Silla (Cile), dove è stato installato alcuni anni fa ma solo per un paio di run osservativi, poi è stato usato principalmente al telescopio Galileo ad Asiago», spiega a Media Inaf Giampiero Naletto, responsabile del progetto Aqueye+Iqueye per l’università di Padova. «È stato grazie al contatto con il professor Cassanelli, a Santiago, e allo sforzo congiunto di tutto il team che è stato possibile riportare Iqueye su un grande telescopio cileno; infatti, il nostro strumento è relativamente versatile e sono bastate poche modifiche meccaniche per riuscire a installarlo al Gemini South. Stiamo valutando la possibilità di offrire Iqueye (al Gemini South) alla comunità scientifica per alcuni anni a venire».
Questo grafico mostra il segnale della pulsar del Granchio dalle osservazioni di prima luce con Iqueye al telescopio Gemini South (blu), confrontate con i dati del 2009 al New Technology Telescope dell’Eso (arancione). La forza degli impulsi rilevati da Gemini South dimostra la migliore sensibilità di Iqueye quando viene montato su un telescopio otticamente potente come l’8 metri Gemini South. In particolare, il grafico mostra un secondo delle osservazioni in prima luce della pulsar del Granchio, che in totale sono durate quattro ore. Crediti: Osservatorio Internazionale Gemini/NoirLab/Nsf/Aura/P. Marenfeld
L’accoppiata fra la capacità di conteggio di Iqueye e il grande specchio del telescopio Gemini consentirà per la prima volta di studiare in luce visibile l’evoluzione temporale di vari fenomeni astronomici ancora poco conosciuti, come ad esempio i fast radio burst, oppure di monitorare il comportamento nel tempo di oggetti celesti rapidamente variabili ma estremamente deboli, quali ad esempio le pulsar. Dopo l’installazione nel telescopio cileno, a Iqueye è stato assegnato il primo caso scientifico “di prova”, per verificare che tutto funzionasse a dovere. La scelta per la sua “prima luce” al Gemini South è caduta su un grande classico: la pulsar del Granchio. La riduzione e l’analisi dei set di dati di questo strumento sono operazioni che richiedono molto tempo, ma già nell’analisi preliminare i dati hanno rivelato strutture dettagliate nel segnale, mostrando picchi nitidi della luce della pulsar con livelli di rumore eccezionalmente bassi. La pulsar del Granchio è una delle sorgenti di pulsar più luminose e meglio documentate, il che la rende il bersaglio ideale per la messa in servizio di Iqueye. Mentre altri telescopi hanno osservato la pulsar del Granchio a varie lunghezze d’onda (raggi X, radio, ottica), questa è la prima volta che viene osservata con una risoluzione temporale e un livello di dettaglio e sensibilità così elevati.
«Il dubbio che qualunque cosa possa non essere andata per il verso giusto c’è sempre», commenta Naletto. «Per cui, quando abbiamo visto per la prima volta il grafico con il segnale della pulsar del Granchio, c’è stato dapprima un sollievo (da parte mia) che avevamo fatto tutto per bene, e poi l’esultanza per la qualità incredibile del dato ottenuto – mai visto nulla del genere prima!»
Per saperne di più:
- Leggi la press release del NoirLab (in inglese)