Cosa potrebbe accomunare la presenza di ferro-60 nei sedimenti di un lago dell’Africa orientale e l’elevata diversità genetica dei virus dei pesci Ciclidi che popolano le sue acque? Secondo uno studio condotto da tre astronomi dell’Università della California a Santa Cruz, e pubblicato lo scorso gennaio su The Astrophysical Journal Letters, le due cose potrebbero avere un’unica origine, un evento avvenuto a centinaia di anni luce dal nostro pianeta: un’esplosione di supernova di tipo II. Il collegamento tra i due eventi – va sottolineato – è almeno al momento solo un’ipotesi, ma è comunque una connessione che potrebbe aprire la strada a nuove, interessanti, ricerche.
Illustrazione artistica creata con Adobe Ai
Il punto di partenza dello studio è il ritrovamento di depositi di ferro-60, un isotopo radioattivo del più diffuso ferro-56, nel fondale marino del lago Tanganica, uno dei più grandi e profondi bacini d’acqua dolce del continente africano. Le registrazioni geologiche dei sedimenti del lago, situato all’interno della fossa della Rift Valley, mostrano due distinti picchi di concentrazione dell’isotopo, risalenti rispettivamente a 6-7 milioni e 2-3 milioni di anni fa. Secondo quanto riportato nell’articolo, quest’ultimo picco di concentrazione sarebbe l’impronta lasciata da una potente esplosione di supernova di tipo II, ossia la morte in pompa magna di una stella con una massa dieci volte superiore a quella del Sole. Supernove a collasso nucleare: è così che le chiamano gli astronomi.
A suggerire che il ferro-60 sia stato trasportato sulla Terra da una supernova è la ricostruzione del movimento del Sistema solare all’interno della Via Lattea, ottenuta dai ricercatori attraverso simulazioni. Per comprendere meglio questo scenario sono necessarie alcune informazioni di contesto. La Terra si trova nel bel mezzo della Bolla Locale, una vasta cavità gassosa con un diametro di circa mille anni luce, formatasi in seguito a una serie di esplosioni di supernova avvenute decine di milioni di anni fa. Il Sistema solare è entrato al suo interno circa sei milioni di anni fa e attualmente risiede vicino al suo centro. Secondo i modelli sviluppati dai ricercatori, il primo picco di ferro-60 nei sedimenti del lago Tanganica potrebbe coincidere con questo ingresso, mentre il secondo, datato 2-3 milioni di anni fa, potrebbe essere stato prodotto da una supernova esplosa a circa cinquecento anni luce di distanza da noi all’interno del gruppo stellare Centauro superiore-Lupo (Ucl), parte dell’associazione di stelle Scorpius-Centaurus.
«Da due a tre milioni di anni fa, pensiamo che una supernova sia esplosa nelle vicinanze della Terra», dice la prima autrice dello studio, Caitlyn Nojiri, ricercatrice all’Università della California a Santa Cruz. «Il ferro-60 ci permette di risalire all’epoca in cui si sono verificate queste esplosioni». Quello che potrebbe essere successo, spiegano gli autori dello studio, è che quando la supernova è esplosa il Sistema solare si trovasse vicino all’ammasso di stelle del Centauro superiore-Lupo. L’onda d’urto generata dalla deflagrazione avrebbe disseminato gli elementi pesanti appena sintetizzati, compreso il ferro-60, in tutta la bolla locale. L’isotopo sarebbe stato poi catturato dalla Terra e incorporato nei sedimenti del lago Tanganica, lasciando un’impronta geologica dell’evento cosmico.
Fin qui abbiamo ripercorso la relazione tra il ferro-60 presente nei sedimenti del lago e l’esplosione della supernova del Centauro superiore-Lupo. Ma nello studio si accenna anche a un’ulteriore possibile relazione: un ipotetico legame tra l’esplosione stellare e la diversità del patrimonio genetico dei virus dei Ciclidi, una famiglia molto diversificata di specie di pesci che popolano il bacino d’acqua.
Come dicevamo, le supernove a collasso del nucleo sono esplosioni che si verificano alla fine dell’evoluzione di stelle con masse superiori a dieci volte quella del Sole. Quando gli astronomi Walter Baade e Fritz Zwicky scoprirono per la prima volta questa nuova classe di nove, suggerirono che fossero anche la sorgente dei raggi cosmici, particelle (elettroni, protoni e particelle esotiche) con energie elevatissime che si muovono a velocità prossime a quelle della luce. Avevano ragione: come è stato successivamente dimostrato, la potenza di queste esplosioni rende le supernove eccellenti acceleratori di raggi cosmici. Poiché le energie associate a queste particelle possono raggiungere valori dell’ordine dei petaelettronvolt (milioni di miliardi di elettronvolt), gli astronomi chiamano le sorgenti che le emettono Pevatron.
Illustrazione che mostra l’esplosione di una supernova, sulla sfondo. Il nostro pianeta, in primo piano. Crediti illustrazione: Nasa/Cxc/M. Weiss
I tre autori dello studio propongono che la supernova del Centauro superiore-Lupo possa essere stata una di queste sorgenti e che i raggi cosmici da essa generati, in quanto particelle ionizzanti, abbiano aumentato i livelli di radiazione sulla superficie della Terra di diversi ordini di grandezza. Per verificare questa idea, i tre ricercatori hanno anzitutto calcolato il flusso dei raggi cosmici proveniente dalla sorgente. Successivamente, hanno stimato le dosi di radiazione a varie profondità atmosferiche sperimentate dal nostro pianeta all’epoca dell’esplosione. Secondo le loro stime, la dose media di radiazione che ha colpito la Terra sarebbe stata di circa 30 milligray (l’unità di misura della dose assorbita di radiazioni ionizzanti) per anno, una dose che il nostro pianeta avrebbe continuato ad assorbire fino a 100mila anni dopo l’esplosione.
A questo punto, la domanda che si sono posti gli scienziati – e qui veniamo al dunque dell’ipotetica relazione supernova-diversità genetica dei virus dei pesci Ciclidi – è stata: quali potrebbero essere stati gli effetti biologici di tali dosi di radiazioni? Diversi studi di popolazione hanno mostrato che dosi medie di radiazioni di 5 milliGray per anno rappresentano la soglia per l’induzione di rotture nel Dna, la lunghissima molecola che codifica le istruzioni per mettere insieme ciò di cui siamo fatti. I danni al Dna sono associati a mutazioni, cambiamenti che causano riarrangiamenti strutturali del codice genetico. Sebbene spesso siano deleterie, in alcuni casi tali mutazioni possono conferire un vantaggio selettivo all’organismo che li possiede ed essere quindi selezionate positivamente nella sua progenie. Poiché la dose media di radiazioni giunta sulla Terra dopo l’esplosione della supernova del Centauro superiore-Lupo è – stando alle stime dei ricercatori – sei volte maggiore della soglia, gli autori concludono che la supernova potrebbe essere stata non solo un acceleratore di raggi cosmici ma anche un “acceleratore di cambiamenti evolutivi” attraverso, appunto, l’induzione di mutazioni.
A questo proposito i tre autori citano un articolo, pubblicato nel 2024 sulla rivista Current Biology, in cui veniva analizzato il genoma di centinaia di virus che infettano i pesci Ciclidi nel lago Tanganica. La conclusione dello studio era che la diversificazione genetica di questi virus, in particolare di quelli del genere Hepacivurus, non è stata costante durante la speciazione dei Ciclidi, ma avrebbe subito un’accelerazione intorno a 2-3 milioni di anni fa. In pratica, 2-3 milioni di anni fa qualcosa potrebbe aver spinto l’evoluzione dei virus dei pesci Ciclidi, creando una moltitudine di varianti genomiche di questi organismi non cellulari che poi la selezione naturale ha favorito, permettendogli di infettare specie diverse di pesci.
Avete notato la curiosa coincidenza temporale? Il periodo nel quale sarebbe avvenuta l’esplosione di questa diversità coincide sorprendentemente con l’epoca dell’esplosione della supernova ipotizzata da Nojiri e colleghi. Sebbene non esista alcuna prova diretta di un legame causale tra i due eventi, i ricercatori non escludono che la radiazione generata dalla supernova possa aver contribuito a questa accelerazione evolutiva, inducendo mutazioni nei virus. Si tratta di una ipotesi tutta da provare, ma, come dicevamo in apertura, il collegamento suggerito potrebbe ispirare ulteriori indagini.
Sotto la spinta della costante esposizione a radiazioni ionizzanti di origine sia terrestre che cosmica, la vita sulla Terra è in continua evoluzione, concludono i tre autori dello studio. Man mano che la radioattività del substrato roccioso diminuisce lentamente su scale temporali di miliardi di anni, i livelli di radiazione cosmica fluttuano mentre il nostro Sistema solare attraversa la Via Lattea. I raggi cosmici provenienti da supernove vicine possono aver svolto un ruolo chiave in questo processo: influenzando i tassi di mutazione delle prime forme di vita, potrebbero aver contribuito all’evoluzione di organismi complessi, persino plasmando la chiralità delle molecole biologiche.
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal Letters l’articolo “Life in the Bubble: How a Nearby Supernova Left Ephemeral Footprints on the Cosmic-Ray Spectrum and Indelible Imprints on Life” di Caitlyn Nojiri, Noémie Globus, ed Enrico Ramirez-Ruiz;
- Leggi su Current Biology l’articolo “Host adaptive radiation is associated with rapid virus diversification and cross-species transmission in African cichlid fishes” di Vincenzo A. Costa, Fabrizia Ronco, Jonathon C.O. Mifsud, Erin Harvey, Walter Salzburger ed