Un team internazionale coordinato da ricercatrici e ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) ha osservato quattro transienti rossi a luminosità intermedia (in inglese intermediate-luminosityred transients o Ilrt), ovvero enigmatiche sorgenti variabili nel tempo di cui finora era incerta l’origine. Le accurate indagini svolte, pubblicate in due articoli sulla rivista Astronomy & Astrophysics, indicano che questi transienti sono con ogni probabilità delle vere esplosioni di stelle, e non delle semplici eruzioni.

Nell’immagine la galassia Ngc 300 (nota anche come C 70) in direzione della costellazione dello Scultore e nel riquadro rosso al centro l’evento transiente Ngc 300Ot. Nell’inserto in alto a destra viene mostrata – con dati del telescopio Spitzer della Nasa – l’evoluzione negli anni di questo transiente, dal progenitore (nel 2003) fino alla completa sparizione sotto la soglia di rilevamento del telescopio” (nel 2019). Le immagini di Spitzer sono nell’infrarosso, mentre l’immagine della galassia è nella luce visibile. Crediti: Inaf/G. Valerin
Il cielo si accende e si spegne continuamente, in ogni direzione, con segnali che possono durare da pochi millesimi di secondo fino a settimane, mesi o anni prima di non essere più rilevabili dai nostri strumenti. Analisi e studi negli ultimi anni hanno permesso di comprendere la natura di molti di essi, mentre altri sono ancora di origine ignota.
Il team di ricerca ha monitorato l’evoluzione dei quattro transienti, con l’obiettivo di determinare il meccanismo che genera questi fenomeni: sono forse delle violente eruzioni, a cui però la stella sopravvive, oppure sono vere e proprie esplosioni terminali, significativamente più deboli rispetto alle “classiche” esplosioni che già conosciamo? La luminosità di queste particolari sorgenti transienti si trova a metà strada tra due fenomeni ben noti: le nove, violente eruzioni stellari a cui la stella sopravvive, e le supernove, brillanti esplosioni dove la stella viene definitivamente distrutta, lasciando dietro di sé una stella di neutroni o un buco nero.
«In seguito alla scoperta di tre nuovi Ilrt nel 2019, abbiamo colto la possibilità di studiare e capire meglio questi fenomeni», commenta Giorgio Valerin, ricercatore postdoc Inaf e primo autore dei due articoli su queste sorgenti appena pubblicati sulla rivista Astronomy & Astrophysics. «Abbiamo quindi raccolto dati per anni attraverso telescopi sparsi in tutto il mondo (La Palma, La Silla, Las Campanas, Asiago, solo per citare l’ubicazione dei telescopi più usati) e perfino diversi telescopi in orbita (Swift, Spitzer, Wise, Jwst). Abbiamo anche ripreso la campagna osservativa di Ngc 300 Ot, il transiente rosso a luminosità intermedia più vicino mai osservato, ad ‘appena’ sei milioni e mezzo di anni luce da noi».
Immagine della Galassia Vortice (M51) ottenuta con il James Webb Space Telescope. In basso, nello zoom, viene evidenziata la posizione di At 2019abn, uno dei transienti analizzati. Crediti: Inaf/G. Valerin, A. Rigutti
«Le prime immagini di Ngc 300 Ot risalgono al 2008», ricorda Valerin, «e in questo lavoro l’abbiamo osservato nuovamente per studiarne l’evoluzione dopo più di dieci anni. L’analisi delle immagini e degli spettri raccolti durante queste campagne osservative ci ha consentito di monitorare l’evoluzione nel tempo dei nostri target, ottenendo informazioni come la luminosità, la temperatura, la composizione chimica e le velocità del gas associate a ogni Ilrt che abbiamo studiato».
L’osservazione di oggetti come Ngc 300 Ot sul lungo periodo ha permesso di ottenere un indizio fondamentale per rispondere alla domanda su cosa siano esattamente questi transienti. In particolare, le immagini dell’oggetto ottenute con il telescopio spaziale Spitzer mostrano come questo sia diventato fino a dieci volte più debole della stella progenitrice nel corso di sette anni, per poi sparire sotto alla soglia di rilevamento del telescopio. E non sarebbe l’unico caso fra quelli analizzati dagli autori. Un simile destino sembra attendere anche la sorgente denominata At 2019abn: grazie a osservazioni effettuate con il James Webb Space Telescope, a cinque anni dalla sua scoperta si è visto che anche questo transiente è diventato più debole della sua stella progenitrice, e il suo costante declino in luminosità non sembra volersi arrestare.
Ai ricercatori la conclusione sembra dunque chiara: vere e proprie esplosioni di stelle, e non delle semplici eruzioni. Le stelle che danno loro origine, in gergo le progenitrici, sono circondate da uno spesso strato di gas e polvere, che vengono improvvisamente scaldati a temperature intorno ai 6000 kelvin nel corso dei pochi giorni che vanno dalla scoperta dell’evento al momento di massima luminosità osservato. Contemporaneamente, il gas viene accelerato a velocità che possono raggiungere i 700 chilometri al secondo.
«Questa velocità è decisamente inferiore a quella di una supernova in esplosione, che raggiunge spesso anche i 10 mila chilometri al secondo», commenta Leonardo Tartaglia, ricercatore Inaf e coautore degli articoli. «Eppure, riteniamo che la stella possa essere davvero esplosa, lanciando materiale a migliaia di chilometri al secondo in ogni direzione, ma che questa esplosione sia stata parzialmente soffocata dalla densa coltre di gas e polvere circumstellare, che si scalda come conseguenza del violento urto».
Un’ipotesi, questa, che troverebbe conferma proprio nella diminuzione di luminosità degli Ilrt sul lungo periodo. Non solo. Date queste premesse gli autori sono riusciti a dare un nome e un cognome a questo fenomeno osservativo: supernova a cattura elettronica (in inglese electron capture supernovae), un tipo di supernova previsto dalla teoria ma di cui c’è carenza di controparti osservative. Si tratta di particolari esplosioni stellari che hanno origine da stelle con massa tra 8 e 10 masse solari.
Nonostante le teorie di evoluzione stellare ne prevedano l’esistenza, l’osservazione delle supernove a cattura elettronica è stata difficile. Alcuni oggetti sono stati interpretati come tali, ma studi recenti suggeriscono l’esistenza di un’intera classe associata a queste sorgenti. Secondo l’evoluzione stellare, le stelle con massa superiore a 10 masse solari esploderanno come supernove “classiche”, mentre quelle con meno di 8 masse solari finiranno come nane bianche.
Le supernove a cattura elettronica sono quindi particolarmente interessanti, poiché segnano il confine tra queste due categorie. «Stiamo finalmente osservando quegli eventi che separano le stelle destinate a esplodere come classiche supernove dalle stelle che si spegneranno lentamente come nane bianche», conclude Valerin.
Per saperne di più:
- Leggi su Astronomy & Astrophysics l’articolo “A study in scarlet I. Photometric properties of a sample of intermediate-luminosity red transients”, di G. Valerin et al.
- Leggi su Astronomy & Astrophysics l’articolo “A study in scarlet II. Spectroscopic properties of a sample of intermediate-luminosity red transients”, di G. Valerin et al.