NUOVE IPOTESI SUL VULCANISMO DI VENERE

Sotto la crosta, il segreto che scotta

Uno studio della Washington University di Saint Louis indica che la crosta venusiana è in continuo movimento per un fenomeno inatteso: la convezione crostale. Questo meccanismo potrebbe spiegare la distribuzione e l'attività vulcanica del pianeta e cambiare radicalmente il nostro modo di studiare la geologia venusiana. Con il commento di Piero D'Incecco, vulcanologo planetario dell'Inaf d'Abruzzo

     03/04/2025

Immagine tridimensionale a colori del vulcano Sapas Mons, su Venere. Questo vulcano, ripreso dalla sonda Magellano della Nasa è alto 1,5 chilometri e potrebbe essere ancora attivo. Crediti: Nasa

Un mondo rovente e costellato da decine di migliaia di vulcani: questo è Venere, il secondo pianeta del Sistema solare, che nasconde sotto la sua crosta superficiale i segreti delle eruzioni di lava incandescente. Da tempo, infatti, gli scienziati si interrogano su come il calore proveniente dall’interno del pianeta possa arrivare in superficie. Nonostante i numerosi studi, la storia geologica venusiana potrebbe essere ancora più dinamica di quanto si pensasse.

«Nessuno finora aveva mai considerato la possibilità di una convezione nella crosta di Venere», dichiara Slava Solomatov, professore di scienze terrestri, ambientali e planetarie alla Washington University di St. Louis e primo autore dello studio pubblicato sulla rivista Physics of Earth and Planetary Interiors. «I nostri calcoli suggeriscono che la convezione è possibile, anzi addirittura probabile. Se ciò fosse vero, ci darebbe nuove informazioni sull’evoluzione del pianeta».

Ma cosa si intende per convezione? Si tratta di un processo ben noto in geologia, che si verifica quando il materiale riscaldato sale verso la superficie di un pianeta e quello più freddo scende, creando una sorta di “nastro trasportatore” costantemente in funzione. Sulla Terra, la convezione avviene nelle profondità del mantello e fornisce l’energia che guida la tettonica a placche. La crosta terrestre, spessa circa quaranta chilometri nei continenti e sei chilometri nei bacini oceanici, è troppo sottile e fredda per sostenere la convezione, spiega Solomatov. Al contrario,  la crosta di Venere potrebbe avere lo spessore – dai 30 ai 90 chilometri circa, a seconda della posizione – la temperatura e la composizione rocciosa ideali per far funzionare il nastro trasportatore.

Solomatov e il coautore Chhavi Jain, hanno verificato questa possibilità applicando alcune nuove teorie fluidodinamiche sviluppate in laboratorio. I calcoli suggerirebbero, in effetti, che la crosta venusiana possa supportare la convezione e che questa riesca ad avere un ruolo centrale nel trasporto di calore e nella formazione delle strutture superficiali del pianeta. «La convezione nella crosta potrebbe essere proprio il meccanismo chiave mancante», afferma Solomatov.

Nel 2024, i due ricercatori hanno utilizzato un approccio simile per indagare la convezione crostale su Mercurio. Ma su questo pianeta del Sistema solare, troppo piccolo e raffreddatosi in modo significativo ormai oltre 4,5 miliardi di anni fa, la convezione probabilmente non avviene nel mantello.

Mappa topografica della superficie di Venere. Il mosaico è stato creato utilizzando i dati radar ad alta risoluzione della missione Magellano della Nasa (circa 75 metri per pixel). Crediti: Nasa / Jpl / Caltech (McAuley)

Venere, invece, è un pianeta caldo sia all’interno che all’esterno. Le temperature superficiali superano i 460 gradi centigradi e i suoi vulcani e altre caratteristiche superficiali mostrano chiari segni di fusione. Tracce talmente evidenti che, nel 2023, Paul Byrne, collega di Solomatov e professore associato di scienze terrestri, ambientali e planetarie, ha pubblicato un atlante di 85 mila vulcani venusiani basandosi sulle immagini radar della missione Magellano della Nasa. 

Ora, i nuovi risultati potrebbero costruire un nuovo quadro teorico per spiegare questa immensa attività vulcanica? «La possibilità che meccanismi convettivi su Venere possano aver luogo all’interno della crosta, e non nel mantello come avviene sulla Terra, oltre a rappresentare una novità, apre a sviluppi interessanti nella comprensione della geologia e del vulcanismo venusiano», afferma Piero D’Incecco, non coinvolto nello studio ma esperto di geologia planetaria dell’Inaf d’Abruzzo e coordinatore del progetto Avengers, che analizza il vulcanismo recente di Venere utilizzando analoghi terrestri. «Sarà, ad esempio, interessante capire se esiste una relazione tra il meccanismo di convezione crostale e la posizione delle numerose strutture vulcaniche presenti sulla superficie di Venere, in particolare quelle geologicamente più recenti». 

Il picco vulcanico Idunn Mons. La sovrapposizione colorata mostra i modelli di calore derivati dai dati di luminosità della superficie raccolti dallo spettrometro di immagini termiche nel visibile e nell’infrarosso. Questo vulcano e tutta la regione circostante sono al centro degli studi di Piero D’Incecco (Inaf Abruzzo) che proposto l’area come landing site per il lander della missione russa Venera-D. Crediti: Esa/Nasa/Jpl

Le implicazioni dello studio sembrano essere notevoli, dunque. Se confermata, la convezione crostale potrebbe rivoluzionare la comprensione di Venere, aprire a un modo completamente nuovo di pensare alla geologia superficiale del pianeta e fornire nuovi dati per l’interpretazione delle sue anomalie gravitazionali e topografiche. Inoltre, potrebbe suggerire nuovi scenari per la formazione e l’evoluzione di altri corpi planetari.

La conferma delle ipotesi di Solomatov potrebbe arrivare dalle prossime missioni su Venere e, se la convezione nella crosta di Venere verrà confermata, il nostro modo di vedere il pianeta cambierà radicalmente, rivelando un mondo ancora più dinamico di quanto immaginato. «Le future missioni attualmente selezionate per il lancio – come ad esempio Veritas della Nasa, EnVision dell’Esa e Roscosmos Venera-D – forniranno dati ancor più accurati di temperatura e densità della crosta, e consentiranno di analizzare meglio l’eventualità di una convezione crostale su Venere», conclude D’Incecco.

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