Come si muore nell’universo? Un’istantanea catturata dal James Webb Space Telescope ce lo racconta con dovizia di dettagli. Si tratta del ritratto più particolareggiato di Ngc 1514, nebulosa planetaria notata dall’astronomo William Herschel nel 1790 – proprio lui, quello a cui è stato dedicato l’omonimo telescopio spaziale, attento scrutatore del lontano infrarosso fino al 2013.
La nebulosa planetaria Ngc 1514 immortalata dallo strumento Miri del James Webb Space Telescope. Crediti: Nasa, Esa, Csa, Stsci, M. Ressler (Nasa-Jpl), D. Jones (Iac)
L’immagine, di singolare bellezza e rivelatrice di sorprendenti strutture attorno a una stella morente, è diventata protagonista di una recente fotonotizia dell’Esa. L’ha scattata Webb, si diceva, e in particolare il suo strumento Miri, impareggiabile occhio nel medio infrarosso.
La stella in agonia è una nana bianca che palpita al centro della fotografia, caratterizzata dai tipici raggi che costellano i dati di Webb – in verità di stelle ce ne sarebbero due qui, anche se nell’immagine ci appaiono come una stella singola. Non afflitto in siderale solitudine, bensì assistito da una stella compagna, l’astro morente sta dunque esalando i suoi ultimi respiri. Respiri che, in una manciata di millenni – quattro, secondo gli scienziati – hanno prodotto le strutture immortalate da Webb.
Strutture che attorniano la stella morente e che sono costituite da piccoli grani di polvere, scaldati dalla luce caldissima della nana bianca, e che si manifestano riemettendo quella luce nel medio infrarosso, dove Miri l’ha catturata. Si pensa che la stella compagna abbia avuto un ruolo cruciale nel modellare queste singolari strutture dalla forma ad anello.
Secondo gli scienziati, i due astri, che hanno un periodo orbitale di soli nove anni, erano molto prossimi quando la stella in agonia ha espulso grandi quantità di materiale. Materiale che ha così risentito dell’interazione gravitazionale fra di essi, assumendo la conformazione oggi visibile, e che continuerà a trasformarsi per qualche altro migliaio di anni.
C’è anche tanto gas all’interno di questa fotografia. La stella morente, come si diceva, si è infatti progressivamente liberata dei suoi strati gassosi più esterni, riversandoli nello spazio circostante. La regione in rosa, nel cuore dell’immagine, la si deve all’emissione degli atomi di ossigeno. Tutt’altro che uniforme, ma caratterizzata da buchi e cavità scavate dal gas in rapida espansione.
Come spesso accade nelle immagini di Webb, si scorgono elementi che nulla hanno a che fare con la lenta agonia che si sta consumando in Ngc 1514, visibile nella costellazione del Toro, a 1500 anni luce dal nostro pianeta. Si notano infatti manciate di “palline” colorate che si affacciano di tanto in tanto fra le lingue di gas e polvere della nebulosa planetaria, galassie situate sullo sfondo e la cui luce ci raggiunge da distanze sconfinatamente più remote. La stella situata poco sotto il centro dell’immagine pure non c’entra nulla con lo spettacolo prodotto dalla nana bianca, ma stavolta è un astro che sta davanti alla nebulosa plenetaria, e dunque a una distanza più prossima alla Terra.
In un letto di gas e polvere giace dunque una stella che muore. Il ritratto di Ngc 1514 ci parla del morire, in una delle sue possibili forme, nell’universo. Morire ma anche risorgere. Il materiale disperso nel mezzo interstellare dalle stelle morenti funge da materia prima per produrre nuove generazioni di astri. Nell’universo nulla muore mai davvero.