BRILLAMENTI DI MAGNETAR ”FUCINE D’ORO” COME LE KILONOVE

Una nuova origine per l’oro e altri elementi pesanti

Anche le magnetar, attraverso i brillamenti giganti, possono contribuire alla formazione di oro e altri elementi pesanti, processo che finora era stato identificato solo nelle rare collisioni tra due stelle di neutroni. È il risultato di uno studio teorico guidato da ricercatori della Columbia University e del Flatiron Institute, che spiega dopo vent'anni un misterioso segnale osservato da satelliti Nasa ed Esa nel 2004

     29/04/2025

L’universo primordiale era formato da idrogeno, elio e una scarsa quantità di litio: questi elementi, i più leggeri della tavola periodica, risalgono ai primi, fatidici minuti della storia cosmica. In seguito, molti altri elementi più pesanti, tra cui il ferro, sono stati forgiati all’interno delle stelle. E quelli ancora più pesanti, come l’oro? Questo è uno dei più grandi misteri dell’astrofisica.

Illustrazione di un brillamento gigante di magnetar. Le linee di campo magnetico sono indicate in verde. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech

«È una domanda piuttosto fondamentale per quanto riguarda l’origine della materia complessa nell’universo», afferma Anirudh Patel, dottorando alla Columbia University di New York. «È un enigma interessante che in realtà non è stato risolto». Patel ha condotto uno studio utilizzando dati d’archivio di venti anni fa provenienti dai telescopi della Nasa e dell’Agenzia spaziale europea (Esa), che ha trovato prove di una fonte sorprendente di questi elementi pesanti, per giunta in grande quantità: i brillamenti delle magnetar, le stelle di neutroni altamente magnetizzate. Lo studio è stato pubblicato oggi su The Astrophysical Journal Letters.

Gli autori dello studio stimano che le gigantesche esplosioni delle magnetar potrebbero contribuire fino al dieci per cento dell’abbondanza totale di elementi più pesanti del ferro nella nostra galassia, la Via Lattea. Poiché le magnetar sono apparse relativamente presto nella storia di evoluzione stellare dell’universo, i primi nuclei di oro potrebbero esser stati prodotti proprio in questo modo. «Si tratta della risposta a una delle domande del secolo, la soluzione di un mistero utilizzando dati d’archivio che erano stati dimenticati», aggiunge Eric Burns, astrofisico presso la Louisiana State University di Baton Rouge e coautore dello studio.

Come si produrrebbe l’oro in una magnetar?

Le stelle di neutroni sono i nuclei collassati di stelle esplose. Sono così dense che un cucchiaino di materiale di una stella di neutroni, sulla Terra, peserebbe fino a un miliardo di tonnellate. Una magnetar è una stella di neutroni con un campo magnetico estremamente potente. In rare occasioni, le magnetar rilasciano un’enorme quantità di radiazioni ad alta energia quando subiscono un terremoto stellare (in inglese: starquake, letteralmente: stellamoto), che frattura la crosta della stella di neutroni proprio come un terremoto terrestre. I terremoti stellari potrebbero anche essere associati ai brillamenti giganti di magnetar, espulsioni di radiazione così potenti da avere un impatto persino sull’atmosfera terrestre. Solo tre brillamenti giganti di magnetar sono stati osservati nella Via Lattea e nella vicina Grande Nube di Magellano, e sette all’esterno.

Patel e colleghi, tra cui il suo relatore Brian Metzger, professore alla Columbia University e ricercatore senior presso il Flatiron Institute di New York, hanno riflettuto su una possibile corrispondenza tra la radiazione proveniente dai brillamenti giganti e la formazione di elementi pesanti in quel luogo. Ciò avverrebbe attraverso il cosiddetto “processo r” (dove la ‘r’ sta per rapido), che mediante la cattura di neutroni trasforma i nuclei atomici più leggeri in nuclei più pesanti.

Infografica che illustra come i brillamenti giganti di magnetar producono elementi pesanti.
Credit: Lucy Reading-Ikkanda/Simons Foundation

I protoni definiscono l’identità di un elemento nella tavola periodica: l’idrogeno ha un protone, l’elio ne ha due, il litio tre, e così via. I nuclei atomici contengono anche neutroni, che non influenzano l’identità dell’elemento, ma contribuiscono alla sua massa. A volte, quando un nucleo cattura un neutrone in più, può diventare instabile e si verifica un processo di decadimento nucleare che converte un neutrone in un protone: in questo modo, cambia l’identità dell’elemento in questione, avanzando di una casella nella tavola periodica. Per esempio, un nucleo d’oro (caratterizzato da 79 protoni) potrebbe assorbire un neutrone in più e poi trasformarsi in mercurio (che di protoni ne ha 80).

L’ambiente di una stella di neutroni perturbata è straordinario. Qui, la densità dei neutroni è così elevata che accade qualcosa di ancora più strano: singoli nuclei atomici possono catturare rapidamente così tanti neutroni da subire decadimenti multipli, portando alla creazione di un elemento molto più pesante, come l’uranio.

Quando gli astronomi hanno osservato la kilonova derivante dalla collisione di due stelle di neutroni nel 2017 combinando i dati dell’osservatorio di onde gravitazionali Ligo-Virgo con quelli dei telescopi spaziali Nasa Fermi ed Esa Integral, hanno confermato che questo evento avrebbe potuto creare oro, platino e altri elementi pesanti. Ma le fusioni tra stelle di neutroni avvengono troppo tardi nella cronologia cosmica per spiegare la formazione dell’oro e di altri elementi pesanti nelle ere più antiche dell’universo. Una recente ricerca condotta dai coautori del nuovo studio – Jakub Cehula della Charles University di Praga, Todd Thompson della Ohio State University e Metzger – ha scoperto che i brillamenti delle magnetar possono riscaldare ed espellere materiale dalla crosta delle stelle di neutroni ad alta velocità, rendendole una potenziale sorgente di questi elementi.

Alla scoperta di segreti in vecchi dati

Inizialmente, Metzger e colleghi pensavano che la firma derivante dalla creazione e distribuzione di elementi pesanti in una magnetar sarebbe apparsa nella luce visibile e ultravioletta, e avevano pubblicato le loro previsioni. Poi Burns, in Louisiana, si chiese se potesse esistere anche un segnale nei raggi gamma sufficientemente intenso da essere rilevato. Chiese a Metzger e Patel di verificare la cosa, e loro scoprirono che poteva effettivamente esistere una firma del genere. «A un certo punto, ci siamo detti: ‘ok, dovremmo chiedere agli astronomi osservativi se ne hanno vista qualcuna’», ricorda Metzger.

Così Burns ha consultato i dati sui raggi gamma del più recente brillamento gigante osservato, nel dicembre 2004. Si è reso conto che, sebbene la fase iniziale dell’esplosione fosse stata ben spiegata, un team di ricercatori guidati da Sandro Mereghetti dell’Istituto nazionale di astrofisica a Milano aveva identificato anche un segnale più piccolo proveniente dalla magnetar, nei dati di Integral, una missione Esa recentemente terminata. «Fu notato all’epoca, ma nessuno aveva idea di cosa potesse trattarsi», nota Burns.

Il satellite Integral. Crediti: Esa

Burns pensava che lui e Patel lo stessero prendendo in giro, racconta Metzger, perché la previsione del modello sviluppato dal loro team somigliava molto al segnale misterioso visto nei dati del 2004. In altre parole, il segnale di raggi gamma rilevato oltre venti anni fa corrispondeva a quello che dovrebbe apparire quando gli elementi pesanti vengono creati e poi distribuiti in un brillamento gigante di una magnetar. Patel era così emozionato da non riuscire a pensare ad altro per le due settimane successive. «Era l’unica cosa che avevo in mente», commenta. I ricercatori hanno corroborato le loro conclusioni utilizzando i dati di altre due missioni della Nasa, dedicate allo studio della fisica solare: la missione Rhessi (Reuven Ramaty High Energy Solar Spectroscopic Imager), ormai in pensione, e il satellite Wind, ancora operativo, che avevano anch’essi osservato il brillamento gigante di magnetar all’epoca.

Prossimi passi nella corsa all’oro delle magnetar

La futura missione Cosi (Compton Spectrometer and Imager) della Nasa, un telescopio a raggi gamma con un grande campo di vista, potrà dare seguito a questi risultati. La missione, il cui lancio è previsto per il 2027, studierà fenomeni energetici nel cosmo, tra cui i brillamenti giganti delle magnetar, e potrà identificare i singoli elementi creati in questi eventi, fornendo un ulteriore passo avanti nella comprensione dell’origine dei nuclei atomici più pesanti. I ricercatori analizzeranno anche altri dati d’archivio per cercare possibili segreti nascosti nelle osservazioni di altri brillamenti giganti di magnetar. «È molto interessante pensare a come alcuni materiali presenti nel mio telefono o nel mio computer portatile siano stati forgiati in queste esplosioni estreme nel corso della storia della nostra galassia», conclude Patel.

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